Lettura

Ogni giorno dovrebbe essere il Giorno della memoria

Ogni anno oggi, 27 gennaio, si celebra il Giorno della Memoria per ricordare le vittime dell’olocausto.

Le celebrazioni, le iniziative, le bibliografie, i film, i documentari, le testimonianze sono necessari per mantenere vivo il ricordo ma, soprattutto, per non replicare quanto accaduto.

Purtroppo però ancora oggi tante, troppe, sono le persone vittime di persecuzioni, per i motivi più diversi: genere, colore della pelle, etnia, religione, orientamento sessuale e politico, disabilità fisica e psichica.

I nostri suggerimenti di lettura per questa giornata intendono dunque focalizzare la vostra attenzione sui temi del pregiudizio e dell’intolleranza in vari ambiti e sull’importanza della costruzione reale di una coscienza libera da preconcetti e di un percorso coraggioso di lotta e contestazione che conduca finalmente ad una società inclusiva di tutte le diversità che rendono unica l’umanità.

Angela Davis di Mariapaola Pesce e Mel Zohar. “Perché per i fratelli neri c’è sempre un lato giusto della strada e uno sbagliato, in cui abitare? Perché i fratelli neri cercano ancora di compiacere i bianchi, invece di lottare contro chi li domina e li opprime?” Angela è un’adolescente quando comincia a farsi queste domande nel quartiere di “Dynamite Hill” a Birmingham, in Alabama, dove il Ku Klux Klan semina bombe davanti alle abitazioni delle famiglie nere per costringerle ad andarsene altrove. Oggi, settant’anni più tardi, il suo cammino coraggioso di lotta e contestazione non è ancora finito.

La prossima volta il fuoco di James Baldwin. Non è mai troppo tardi per conoscere James Baldwin ma, se c’è un modo giusto per farlo, è con questo libro. Pubblicato per la prima volta nel 1963, “La prossima volta il fuoco” colpisce dritto al cuore della cosiddetta “questione nera”. Resoconto intimo e sincero che ripercorre l’esperienza della popolazione di colore degli Stati Uniti, il libro è considerato una delle più autorevoli indagini sui rapporti interrazziali, in cui le tematiche di amore, fede e famiglia si intrecciano fino a sferrare un attacco diretto all’ipocrisia del paese della libertà.

Tutti diversi & tutti uguali di Emma Brownjohn. Sei alto e robusto e il tuo miglior amico è basso e magro? Hai la faccia tonda e il collo corto e il tuo amico ha la faccia quadrata e il collo lungo? Porti gli occhiali o usi la sedia a rotelle per spostarti? Questo libro con alette ed elementi mobili mostra che non ha importanza il modo in cui appariamo: sotto la pelle siamo tutti uguali. E ciascuno di noi, a modo suo, è speciale. Età di lettura: da 3 anni.

Vi stupiremo con difetti speciali : storie di Alba, Akin e Huang di Patrizia Rinaldi, Francesca Assirelli. Raccontare la “disabilità” per portarla fuori da certe stanze chiuse e comunicare lo sforzo, che è in sé positivo, di affrontare la vita quando ti mette davanti scalini molto grandi. Raccontarla attraverso delle storie scritte e illustrate bene, perché le storie raccontate bene sanno sviluppare empatia in chi le legge. Il progetto nasce dal sogno di Luca Trapanese, padre adottivo di Alba e presidente di una Onlus che si occupa di disabilità infantile, di tutti coloro che si impegnano quotidianamente con i disabili, e dei bambini che meritano un mondo che crede nell’inclusione. Età di lettura: da 5 anni.

Se fosse tuo figlio di Nicolò Govoni. «Mi chiamo Nicolò. E tu?» «Hammudi» dice, indicandosi. «Siria.» È sfuggito alla guerra, è sopravvissuto al mare, ma il suo sorriso è enorme. Nicolò sente che rischierebbe tutto, per non spegnere quel sorriso. Intorno a loro si estende l’hotspot di Samos, un posto che assomiglia all’inferno, in cui i profughi vivono ammassati nelle tende, senza acqua né luce, tra cumuli di immondizia. Per Hammudi e gli altri bambini del campo anche le cose più semplici, come giocare a palla o mangiare una pizza, sembrano impossibili. Nicolò è solo un volontario, ma di una cosa è convinto: il mondo, lui, lo vuole cambiare. Così decide di combattere il pregiudizio e l’omertà che circondano l’hotspot: vuole aprire una scuola, una scuola vera, un posto in cui i piccoli rifugiati possano finalmente sentirsi al sicuro. Imparando ad ascoltare, a perdonare e a credere nei propri sogni, Hammudi si lascia alle spalle gli orrori del passato e scopre, insieme a Nicolò, che la casa non è una questione di mura, ma di cuore, e la paternità non ha a che fare col sangue, ma con la fiducia. Con lo sguardo di chi vive ogni giorno sulla propria pelle le ferite più scottanti della nostra attualità, Nicolò Govoni ci racconta l’esperienza luminosa e piena di coraggio di un bambino senza futuro e di un ragazzo che lotta per ridargli speranza.

Ferite a morte di Serena Dandini. Questo libro nasce dal desiderio di raccontare le vittime di femminicidio. Ho letto decine di storie vere e ho immaginato un paradiso popolato da queste donne e dalla loro energia vitale. Sono mogli, ex mogli, sorelle, figlie, fidanzate, ex fidanzate che non sono state ai patti, che sono uscite dal solco delle regole assegnate dalla società, e che hanno pagato con la vita questa disubbidienza. Così mi sono chiesta: ‘E se le vittime potessero parlare?’ Volevo che fossero libere, almeno da morte, di raccontare la loro versione, nel tentativo di ridare luce e colore ai loro opachi fantasmi. Desideravo farle rinascere con la libertà della scrittura e trasformarle da corpi da vivisezionare in donne vere, con sentimenti e risentimenti, ma anche, se è possibile, con l’ironia, l’ingenuità e la forza sbiadite nei necrologi ufficiali. Donne ancora piene di vita, insomma. ‘Ferite a morte’ vuole dare voce a chi da viva ha parlato poco o è stata poco ascoltata, con la speranza di infondere coraggio a chi può ancora fare in tempo a salvarsi. Ma non mi sono fermata al racconto e, con l’aiuto di Maura Misiti che ha approfondito l’argomento come ricercatrice al CNR, ho provato anche a ricostruire le radici di questa violenza. Come illustrano le schede nella seconda parte del libro, i dati sono inequivocabili: l’Italia è presente e in buona posizione nella triste classifica dei femminicidi con una paurosa cadenza matematica, il massacro conta una vittima ogni due, tre giorni.” (Serena Dandini). Dall’indice delle schede della seconda parte del libro: Il femminicidio. Delitti d’onore e violenza di genere in Afghanistan ein Pakistan. Il femminicidio in Messico e in America latina. La via dell’AIDS. Schiave globali. Infanzia rubata. la violenza domestica in Giappone. Morte a causa della dote nei paesi dell’Asia del sud. Diritti civili e violenza contro le donne nei territori palestinesi. La tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale. Le mutilazioni genitali femminili. la condizione delle donne nella federazione russa. Infanticidio femminile.

Bambini nel mondo. Il razzismo e l’intolleranza di Louise Spilsbury, Hanane Kai. Cosa succede nel mondo? Grandi questioni, temi importanti che coinvolgono il futuro di tutti, anche dei bambini, raccontati con chiarezza per capire e non avere paura. Grandi disegni colorati accompagnati da breve testo, in appendice suggerimenti per informarsi di più e breve glossario. Età di lettura: fascia di età: C – primaria, età 5-10. Fascia di età: D – bambini, età 9-14.

Una nave di nome Mexique di María José Ferrada, Ana Penyas. Il 27 maggio 1937, il Mexique salpò da Bordeaux, Francia. A bordo c’erano 456 bambini. Erano tutti figli di repubblicani spagnoli. Per sfuggire alla guerra civile che infuriava nel loro paese, si rifugiarono in Messico. Questa è la storia di una nave e di un esilio, che mette davanti ai nostri occhi i bambini e le bambine, che la guerra, qualsiasi guerra, strappa dalle loro case. Età di lettura: da 5 anni.

L’ombra del nemico: una storia del terrorismo islamista di Marta Serafini. Il fantasma nero di Daesh ha seminato il terrore nel mondo mostrandosi incomprensibile e sempre pronto a rigenerarsi. Marta Serafini racconta i cinque anni che separano l’ascesa del califfo Abu Bakr Al Baghdadi a capo del sedicente Stato islamico dalla sua recente uccisione, portando il lettore sul campo, sotto le bombe, tra le macerie di città annientate e di un’umanità abbandonata dalle autorità internazionali. Dagli attentati in Europa ai campi dei rifugiati in Medio Oriente, dalle navi di salvataggio delle ong ai centri di detenzione per i bambini soldato del jihad: per comprendere la guerra globale occorre considerare ogni tessera del mosaico, capire come in Afghanistan il commercio di stupefacenti rimpolpi le casse dell’Isis o come nei centri europei nuovi programmi cerchino di strappare i giovani al richiamo della violenza. In ogni incontro, in ogni analisi, l’autrice cerca di dare voce a chi non ce l’ha, alle donne massacrate, ai bambini senza futuro, alle vittime su cui i riflettori dei media si sono spenti da tempo. Senza dimenticare che, per comprendere davvero, bisogna ascoltare anche chi è considerato carnefice, come i minori arruolati dall’Isis o le giovani donne occidentali pronte a lasciare tutto per combattere in Siria. Un viaggio nella storia dall’Europa al Medio Oriente e ritorno: tra racconti, testimonianze e ritratti da cui emerge un’appassionata ricerca in presa diretta che aiuta a capire come si è trasformata la minaccia terroristica. E come siamo cambiati noi.

Attraverso i tuoi occhi: cronache dalle migrazioni di Angela Caponnetto. Dall’emergenza sbarchi all’emergenza coronavirus, le migrazioni non hanno mai smesso di restare al centro delle cronache. I popoli hanno continuato a muoversi e ad attraversare il Mediterraneo nonostante fossero al corrente della pandemia che stava investendo i paesi di primo approdo così come il resto del mondo. Perché chi fugge ha solo un obiettivo: sopravvivere. Angela Caponnetto, inviata di RaiNews24, in questi anni ha seguito il fenomeno dei flussi migratori, soprattutto attraverso il Mediterraneo. Uomini, donne, bambini che decidono di mettersi in viaggio per approdare in Europa. Le persone incontrate sui moli agli sbarchi, nei centri di accoglienza, in mare sulle navi militari e delle ONG, nei villaggi in Africa, escono così dalla lista dei numeri, delle statistiche e diventano, con il loro personale vissuto, testimoni di un fenomeno a carattere universale. Dai bambini che viaggiano da soli al giovane ivoriano scaraventato contro la sua volontà su un gommone e trasferito in uncentro di accoglienza nel profondo Nord dopo l’approdo in Sicilia; dalla forza e capacità di rinascita delle donne migranti allo sfinimento fisico e psichico degli uomini in divisa costretti a raccogliere quel che resta dei cadaveri in mare, fino a quel microcosmo lampedusano dove si vive una realtà che sembra dissociata dal resto del mondo. “Attraverso i tuoi occhi” è un resoconto che dimostra come una risata strappata a un bambino salvato dal mare o i sogni di una ragazza sopravvissuta alle torture valgano più delle paure e delle reticenze dei paesi e dei popoli che alzano muri e che la solidarietà è un valore prezioso. Soprattutto quando – come ai tempi del coronavirus – si è tutti sulla stessa barca.

Biblioteca

Le sinagoghe nella topografia antica di Roma

Come ogni anno anche lo scorso 27 gennaio la nostra biblioteca, in occasione della Giornata della memoria, ha aderito, su invito della Provincia di Ascoli Piceno, alla commemorazione delle vittime dell’Olocausto mediante l’allestimento di uno scaffale tematico corredato di pannelli illustrativi a disposizione del pubblico dal 27 gennaio al 10 febbraio. Inoltre è stata predisposta una bibliografia di documenti sia per bambini e ragazzi che per adulti di testi sull’argomento disponibile online sul Catalogo del Sistema Interprovinciale Piceno.

E’ in questo contesto che pubblichiamo di seguito, dopo Il più antico cimitero della comunità ebraica di Roma il presentesecondo, contributo della collega Silvia Allegra Dayan, archeologa, archivista e bibliotecaria, addetta alla catalogazione, in cui localizza, tra l’altro, tre proseuchai: una nel Campo Marzio in Via dei Banchi Vecchi, la seconda sull’Esquilino nei dintorni di S. Maria Maggiore, e un’altra in Trastevere nei pressi di Porta Settimiana.

 

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SOTTO IL SEGNO DEL CEDRO

 … prenderete i frutti dell’albero
più bello, dei rami di palma e
dell’albero più frondoso, dei salici
del torrente e vi rallegrerete
dinnanzi al Signore Dio vostro

(Lev. 23,40)

Si vuole mettere sotto la protezione del cedro il viaggio che percorreremo alla ricerca delle sinagoghe perdute lungo le strade dell’antica Roma. Questo “frutto dell’albero più bello” che inondava di profumo inebriante le vallate del Libano, è sempre stato un simbolo di Sukkoth (Festa delle Capanne) per gli ebrei di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che per celebrare la festa devono agitare in ogni direzione un mazzetto che tengono nella mano destra, composto da un ramo di palma (lulàv), rami con dense foglie e salici di torrente (aravà) e tre rami di mirto (hadas), mentre recano nella mano sinistra un frutto di cedro (etrog). Questo frutto meraviglioso del colore del sole e a forma di cuore ci accompagnerà fino alla fine del nostro percorso, dove ci aiuterà a creare una splendida suggestione…

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Catacomba di Venosa, arcosolio dipinto (sono raffigurati da sinistra l’anfora dell’olio, l’etrog (il cedro), la Menorah, lo shofar (il corno) e il lulav (la palma)

La presenza degli ebrei a Roma è accertata dalle fonti storiche fin dal II secolo a. C. ma la documentazione epigrafica disponibile fa precisi riferimenti alla seconda metà del I secolo a. C., infatti molti studiosi riferiscono la sinagoga degli Augustenses ad Augusto, quella degli Agrippenses ad Agrippa, quella degli Herodienses ad Erode, e quella dei Volumnenses a Volumnio procuratore di Siria. Lo studio dei bolli laterizi indica i primi tempi dell’Impero giù fino a Diocleziano. Secondo Giovan Battista De Rossi la presenza della comunità ebraica a Roma è accertata all’epoca di Claudio, come testimonierebbe l’iscrizione dell’arconte KLAYDIOC, mentre quella di REGINA e di MARKIANA sarebbero degli inizi del II secolo d. C. Secondo il Frey, e non solo, la catacomba di Monteverde cominciò ad essere usata alla fine dell’età repubblicana, era in uso nel I secolo d.C., nel II e III secolo d.C. fu intensamente sfruttata, e dal IV secolo d. C. cominciò ad essere abbandonata. Filone d’Alessandria venne a Roma ai tempi di Caligola dove trovò molti ebrei che erano stati prigionieri di guerra, poi affrancati, che abitavano in Trastevere e che ai tempi di Augusto costruirono dei luoghi di preghiera, detti proseuchà, dove si riunivano per essere istruiti e per raccogliere denaro da inviare a Gerusalemme.

Gli ebrei si distribuirono in tutti i vari quartieri della città. A ovest li troviamo nel Campo Marzio. A est sono presenti nella Suburra, in località de aggere presso la Porta Esquilina da dove iniziava la via Labicana, al bosco delle Camene presso la Porta Capena e l’inizio della via Ardeatina. A nord presso la Porta Collina da dove iniziava la via Flaminia, e nei pressi delle vie Salaria e Nomentana. A sud erano in Trastevere, e attraverso la via Portuense arrivarono ad abitare Porto e a Ostia.

A Roma la comunità ebraica era divisa in sinagoghe dai nomi molto diversi tra loro che derivavano da circostanze molto diverse tra loro:

a) gli ebrei arrivati a Roma che volevano mettersi sotto il velo protettivo di un personaggio influente, intitolarono le loro sinagoghe ad un imperatore o ad un procuratore che li aveva favoriti, o che avrebbe potuto proteggerli, e queste sono gli Augustenses, gli Agrippenses, gli Herodienses, e i Volumnenses;

b) gli ebrei, come tutti gli altri abitanti di Roma, nell’arco dei secoli si distribuirono nelle varie regioni prendendo il nome dai toponimi dei luoghi da loro abitati, e questi erano i Campenses, i Calcarenses, i Suburenses, i Sicinenses;

c) gli ebrei della diaspora si riunirono sotto il nome delle città di loro provenienza dell’Asia Minore e dell’Africa del nord, e questi erano gli Heleaenses, i Tripolitenses, gli ebrei di Arca del Libano;

d) il gruppo di ebrei che proveniva dalla Giudea si volle distinguere da tutti altri gruppi, dichiarando che erano loro gli Hebraei per eccellenza;

e) gli ebrei nati a Roma volevano far sapere che erano in città da lungo tempo ed erano i veri ebrei romani, chiamandosi Vernaculi.

Una prima notizia dell’esistenza di una sinagoga la troviamo in un’iscrizione pagana che ricorda che il defunto Corfidio era stato un pomarius e che la sua bottega sorgeva de aggere a proseuchà, cioè presso l’Agger dove c’era una proseuchà, cioè un edificio di culto ebraico, perché il luogo di culto dove si riunivano gli ebrei veniva chiamato proseuchà, mentre “sinagoga” stava ad indicare le persone riunite insieme. Da questa iscrizione datata I-II secolo d. C., sappiamo dunque che nei pressi dell’Agger delle Mura Serviane sorgeva una proseuchà detta de aggere.

L. 1. Praeter, p. 44. Erant autem proseucba propriè Judeorum, in qvibus poma vendebant¡ unde Pomarii cognomen. Inscriptio vetus: P. CORFIDlO. SIGNINO. POMARIO. A. PROSEVCHA.

(Exercitatio philologica de proseuchis Judaeorum, ad illustrandum Actor. XVI. Comma 13. & 16. quam … ord. Philos. … indulgente preside … Balthasare Stolbergio … examini submittet M. Wilh. Ernestus Tentzelius, Greuss. Thur. … XXXVI. Jul. MDCXXCII. In auditorio majori)

Conosciamo i nomi di tredici sinagoghe: la sinagoga di Augusto, di Agrippa, di Erode, di Volumnio, del Campo Marzio, del Calcarario, della Suburra, del Sicinino, di Elea, di Tripolis, di Arca del Libano, gli ebrei di Giudea (Hebraei), gli ebrei romani (Vernaculi). Nel XII secolo a Roma si contavano più di 200 ebrei maschi. Nel 1438 erano ancora numerosi in Trastevere, ma molti avevano attraversato il Ponte S. Maria ed erano venuti a stabilirsi a Ripa, attorno al Teatro di Marcello, e in Rione S. Angelo dov’era Piazza Giudea. Dal censimento di Roma del 1526 sappiamo che vi erano 2000 ebrei, di cui 1200 in Rione S. Angelo, oltre 350 alla Regola, quasi 200 a Ripa, e altri sparsi nei diversi rioni. Nel 1668 la statistica degli ebrei di Roma registrva 850 famiglie con 4500 persone. Il censimento del 1809 documentava la presenza di 3078 ebrei.

SINAGOGHE DI INCERTA LOCALIZZAZIONE

Sinagoga degli Augustenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Augustenses.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: inizio o prima metà del I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in sei iscrizioni.

1) MARCUS . QUINTUS . ALEXUS . GRAMMATEUS . MELLARCHON . TON . AUGOYSTESION (Frey 284: Via Appia; Ms. De Rossi “Ad S. Mariam trans Tiberim, coemeteriis suburbanis effossos“, il Marangoni e il Muratori la consideravano pagana, il Migliore la considera giudaica). Marcus Quintus Alexus grammateus e mellarconte.

2) ANNIC . GEROUSIARCHES . AYGOUCTHCION (Frey 301: Via Portuense, Via Portuense, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Annis gerusiarca.

3) ZOTIKOC . ARXON . AYGOUCTHCION (Frey 338: Via Portuense, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano. Fronte di sarcofago). Zotikos arconte.

4) KYNTIANOC . GEROYCIARXHC . CYNAGOGHC . AYGOUCTHCION (Frey 368: Via Portuense, ritrovata nel 1748, poi al Museo Borgiano di Velletri, Museo Nazionale di Napoli). Quintianos gerusiarca.

5) FLABIA . ANTONINA GYNH . DATIBOY . (ARXON) . ZABIOU. CYNAGOGHC . TON . AYGOUCTHCION (Frey 416: Via Portuense, ritrovata nel 1748, poi al Museo Borgiano di Velletri, Museo Nazionale di Napoli).

6) [IOUL]  . MARKELLA . MATER . CYNA(GOGHC) . AYGOYCTECION (Frey 496: Via Anicia, scavi 1900, Palazzo dei Conservatori). Dativo zabiu.

Sicuramente anche l’epigrafe di Marcus Quintus Alexus, vista a S. Maria in Trastevere, proveniva dalla catacomba di Monteverde. Secondo Filone (Ad Gaium 23) Augusto fu prodigo con gli Ebrei confermando i privilegi accordati da Cesare, e la famiglia imperiale fece delle offerte votive al Tempio di Gerusalemme, e un gruppo di ebrei arrivati a Roma, come ringraziamento  intitolarono la loro sinagoga a questo imperatore.

Sinagoga degli Agrippenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Agrippenses.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: inizio o prima metà del I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in tre iscrizioni.

1) KAILIC . PROCTATHC . AGRIPPHCION (Frey 365: Via Portuense, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano). Kailis prostates.

2) [YOU]DAC . GEROY[CIARXEC] . CY[NAGOG]HC . AGRIPPHCION (Frey 425: Via Portuense, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Iuda gerusiarca.

3) ZOCIMOC . DIA . BIOY . CYNAGOGHC . AGRIPPHCION (Frey 503: provenienza incerta; Menestrier la descrive “In Sancti Salvatoris Transtiberini parochia” decorata con un ramo di palma e un candelabro a sette braccia). De Rossi da Ughelli la descrive “In Sancti Salvatoris de Curtis” decorata da due candelabri, uno a cinque braccia e uno a sette braccia). Zosimo dia biu.

Gli studiosi credono che questa sinagoga fosse intitolata a Marco Vipsanio Agrippa molto amato dagli Ebrei.

Sinagoga degli Herodienses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Herodienses.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: prima metà del I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in una sola iscrizione.

1) … [CYNA]GOGHC [H]PODION … (Frey 173: Via Appia).

Mentre lo Schurer aveva pensato ad una sinagoga di Ebrei provenienti da Rodi, altri studiosi ritengono che la sinagoga fosse dedicata ad Erode Agrippa I, amico di Agrippa che venne molte volte a Roma, come testimonia Flavio Giuseppe (Ant XVI, 1, 2; 2, 2; 5, 3; 9, 1; Bell I, 21, 11; 23, 3-5).

Persio nella V Satira (260-266) riferisce che

D’Erode ecco le feste. Di viole
Inghirlandate, ed in bell’ordin messe
Su finestra unta, dalle pingui gole

Pingue dan nebbia le lucerne spesse:
Coda di tonno in rosso catin nuota;

Spuman bianchi boccali; e tu sommesse
Preci borbotti, e pallida la gota
Il sabbato ti fa dei circoncisi.

(Traduzione di Vincenzo Monti, 1803).

Dunque alla morte di Erode gli ebrei di Roma misero lucerne di viole inghirlandate alle finestre. Erode Agrippa I muore nel 44 d. C.

Sinagoga degli Heleaenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Heleaenses.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: incerta.

Questa sinagoga è ricordata in due iscrizioni.

1) CYNA[GOG]HC . HLEAC (Frey 281: via Appia. De Rossi che conservava il calco del testo completo, ebbe da Bormann anche il caldo di un frammento conservato nel Collegio dei Barnabiti della Quercia a Firenze).

2) PANXARIOC . PATER . CYNAGOGHC . ELAIAC (Frey 509: di provenienza incerta, ai Musei Vaticano dal 1904). Pancharios, pater synagogae di anni 110.

Numerose città avevano il nome di Elea, come Elea in Epiro, Elea di Fenicia, Elea di Bitinia, Elea di Etiopia, Elea di Misia, e va ricordata anche la città di Velia nel sud Italia. Il Frey predilige la città di Elea di Misia. La sinagoga probabilmente era ubicata in Trastevere, dove vivevano molti orientali.

Sinagoga dei Tripolitenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Tripolitenses.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: incerta.

Questa sinagoga è ricordata in due iscrizioni.

1) PROKLOC . ARXON . CYNAGOGHC . TRIPOLEITON (Frey 390: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano). Proklos arconte.

2) SYMMACHOS . [G]ERO[U]C[I]ARXHC . TRIPOLITHC (Frey 408: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Symmachos gerusiarca.

Gli studiosi credono che questa sinagoga raggruppasse gli ebrei provenienti dalla Tripolis dell’Africa proconsolare, cioè le città di Sabratha, di Oea e di Leptis Magna. Va ricordato che c’era anche la città di Tripolis in Fenicia. La sinagoga probabilmente era ubicata in Trastevere, dove vivevano molti orientali.

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Cedro del Libano, pianta secolare. Montefalco (Perugia).

Sinagoga di Arca del Libano

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli ebrei di Arca del Libano.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: incerta.

Questa sinagoga è ricordata in una iscrizione.

1) ALEXAN[DRA] . TYGATHR . TOY . ALEXA[NDROU] . APO . THC . CYNAG[OGHC] . ARX[OU . LI]BANOU (Frey 501: provenienza incerta. Cod. Vat. Lat. 9143, f. 170 b; Cod. Vat. Lat. 9074, p. 940, n. 7). Alexandros della sinagoga di Arca del Libano.

Alessandro Severo era nato nella città di Arca del Libano, nota anche con i nomi di Irkata, Arka, Arqoth, Arké, Arxai, Arca Cesarea, urbs Arcena, Colonia Caesarea Libani.

Il Libano è conosciuto anche come “la terra dei cedri”.

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Frey (Cod. Vat. Lat. 9143, f. 170 b; Cod. Vat. Lat. 9074, p. 940, n. 7).

La sinagoga probabilmente era ubicata in Trastevere, dove vivevano molti orientali.

Sinagoga degli Hebraei

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga degli Hebraei di Giudea.

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: incerta.

Questa sinagoga è ricordata in quattro iscrizioni.

1) [ES]IDORA . TYGATHR . ARXONTOC . EBREON (Frey 291: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Arconte.

2) GELACIC . EXARCHON . TON . EBREON (Frey 317: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Gelasis exarchon.

3) CALO . TYGATHR … GADIA . PATROC . CYNAGOGHC . AIBREON (Frey 510: di provenienza incerta. De Rossi annota “exscripsi in aedibus Rondanini, nunc in mus. Kircheriano“, Museo Nazionale Romano). Gadia (Toskara) pater synagogae.

4) … TYGATEREC . DYO . PATROC . TON . EBREON . GADIA . TOSKARA (Frey 535: Porto, Musei Vaticani). Gadia Toskara pater synagogae.

Mentre altri autori proponevano di vedere una sinagoga di Samaritani, il Frey ipotizzava che la sinagoga degli Hebraei raggruppasse gli immigrati dalla Giudea, che ritenevano di essere gli Ebrei per eccellenza. La parola “ebreo” ricorre in dieci iscrizioni (Frey 291, 317, 354, 370, 379, 502, 505, 510, 535, 718). Il Frey attribuisce alla sinagoga solamente le quattro iscrizioni suddette, dalle quali conosciamo un arconte degli Ebrei, Gelasis exarconte degli Ebrei, e Gadia Toskara, che ricorre in due iscrizioni, che era pater synagogae degli Ebrei. Solo in un caso viene specificato “sinagoga” mentre negli altri tre casi si ricorda solo che erano ebrei. A queste iscrizioni va aggiunta anche l’epigrafe di Kailis Kyintos due volte arconte, posta sulla fronte di sarcofago ritrovato a piazza Venezia:

KAILIC . KYEINTOC . FILOPATOR . B. ARXON … EBRAIOC (Frey 505: provenienza incerta. Notizie Scavi 1892, Gatti “nelle escavazioni per i lavori di fondazione dei piloni del monumento di Vittorio Emanuele. Fronte di sarcofago baccellato, rotta in tre pezzi, lunga m. 1,02, alta m 0,49. Nel mezzo grande cartello securiclato“. Museo Nazionale Romano).

Proprio in piazza Venezia avevamo collocato la bottega di Bartolomeo Basso, dunque in questa bottega oltre alla fronte di sarcofago di Beturia Paula, c’era anche la fronte di sarcofago di Kailis Kyintos. I ritrovamenti negli scavi di Piazza Venezia dovranno essere riesaminati perché lì sorgeva la bottega di Mastro Bartolomeo, che fra le seicento carrettate di marmi doveva averne recuperate alcune dalla catacomba di Monteverde.

Le altre iscrizioni con la parole “ebreo” sono le seguenti:

MAKEDONIC . O . AIBREOC . KECAREYC . THC . PALECTINEC (Frey 370: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Makedonis, figlio di Alexandros, ebreo di Cesarea di Palestina. Citazione dai Proverbi (10, 7) secondo la versione di Aquila (Frey 370, e Frey 86), altrove secondo la versione dei Settanta (Frey 201).

IOYLIANOC . EBREOC (Frey 354: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Iulianos ebreo.

MONIMOC . O . KAI . EY . CABBATIC . EBRAIOC (Frey 379: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Monimos, detto Sabbbatis, ebreo.

ALYPIC . TIBEREYC . KAI . YIOI . AYTOOY . IOYCTOC . KAI . ALYPIC . EBREOI (Frey 502: provenienza incerta. Ms. De Rossi “Exscripsi in aedibus Rondaninis, nunc in mus. Kircheriano“). Alypios di Tiberiade, e i suoi figli Iustos e Alypios, ebrei.

[CYNA]GOGH . EBR[…] (Frey 718: Corinto, scavi 1903, architrave in marmo posta al di sotto della porta della sinagoga, datata I a. C. – II d. C.). San Paolo pregò spesso nella sinagoga di Corinto (Act, 18).

Dunque gli ebrei che provenivano da diverse città della Giudea, anche da Cesarea e da Tiberiade, a Roma si erano riuniti nella sinagoga detta “degli Ebrei”. L’ipotesi del Frey che questa sinagoga raggruppasse gli ebrei per eccellenza è da ritenersi definitiva. La sinagoga forse era ubicata in Trastevere.

Sinagoga dei Vernaculi

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Vernaculi (ebrei romani).

Localizzazione: probabile, in Trastevere.

Datazione: incerta.

Questa sinagoga è ricordata in quattro iscrizioni.

1) DONATOC . GRAMMATEYC . CYNGOGH . BERNAKLORO (Frey 318: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Donatos, grammateus.

2) POLYMNIC . ARXICYNGOGOC . [CY]NAGOGHC . BERNA[KL]ON (Frey 383: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Polymnis, archisinagogo.

3) CABEINOC . DIA . BIOY . BERNAKLHCION (Frey 398: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei Vaticani). Sabeinos, dia biou.

4) [D]OMNOC . P[AT]ER . CYNAGOG[HC] . [B]ERNAKLON . TRIC . ARXON . X[AI] DIC . [F]RONT[ICTE]C (Frey 494: Via Portuense, lavori 1892, Ospizio Umberto I in S. Cosimato, fronte di sarcofago). Domnos, pater synagogae, tre volte arconte, phrontistes.

Secondo il Frey il termine Vernaculi non indica necessariamente gli ebrei figli di schiavi nati a casa del padrone, ma gli ebrei nati a Roma che si volevano distinguere dagli altri gruppi. L’ipotesi del Frey è da ritenersi definitiva. La sinagoga forse era ubicata in Trastevere.

SINAGOGHE DEL CAMPO MARZIO

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Rione Campo Marzio

Sinagoga dei Volumnenses o Bolumnenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Volumnenses.

Localizzazione: certa ma generica, in Campo Marzio.

Datazione: prima metà del I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in quattro iscrizioni.

1) BETURIA . PAULA . MATER . SYNAGOGARUM . CAMPI . ET . BOLUMNI (Frey 523: Piazza Venezia, 1592, bottega di Bartolomeo Basso).

2) ILAROC . ARXON . APO . CYNAGOGHC . BOLYMNHCION (Frey 343: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano).

3) CIKOYLOC . CABEINOC . MELLARXON . BOLOYMNHCON (Frey 402: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei vaticani).

4) FLABIOC . CABEINOC . ZABIOY . CYNAGOGHC . TON . BOLYMNHCION (Frey 417: catacomba di Monteverde, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano).

Volumnio, procuratore di Siria, era amico di Erode come ricorda Flavio Giuseppe (Ant XVI, 9, 1; 10, 8; Bell I, 26, 2-3).

La sinagoga insieme a quella dei Campenses va ubicata in Campo Marzio. Torneremo sull’argomento.

Sinagoga dei Campenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Campenses.

Localizzazione: certa ma generica, in Campo Marzio.

Datazione: metà o seconda metà del I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in quattro iscrizioni.

1) BETURIA . PAULA . MATER . SYNAGOGARUM . CAMPI . ET . BOLUMNI (Frey 523).

2) … KLODIOU . ADELPHOU . KOUINTOU . KLAUDIOU . CYNECIOU . PATROC . CYNAGOGHC . KAMPHCION . ROMHC (Frey 319: Via Portuense, catacomba di Monteverde. De Rossi che cita Marini “trovata nelle catacombe, fu donata dal canonico Severini al Chiostro di San Paolo“).

3) …]IC . GRAMATE[UC] . [CYNA]GOGHC . KA[MPHCION] (Frey 433: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei vaticani. La sinagoga potrebbe essere anche quella dei Calcarenses. Il lapicida è quello che fa la H senza il trattino superiore destro, ed è diverso da quello della 319 e della 88).

4) ANNIANOC . ARXON . NEPIOC . YIOC . YOULIANOY . PATHR . CYNAGOGHC . KAMPEH[C]ION (Frey 88: Via Appia, catacomba di Vigna Randanini).

La sinagoga insieme a quella dei Bolumnenses va ubicata in Campo Marzio. Torneremo sull’argomento.

Sinagoga dei Calcarenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Calcarenses.

Localizzazione: esatta, in Campo Marzio.

Datazione: I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in sei iscrizioni.

1) APER . ARXON . KALKAP[E]CION (Frey 304: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei vaticani). Aper arconte.

2) […] GAYDENTIC KALK[A]PECON (Frey 316: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei vaticani). Gaudentis.

3) POMPONIC . O . DIC . APXON . CYNAGOGHC . KALKAPECIC (Frey 384: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Paribeni 1919, Museo Nazionale Romano). Pomponis arconte.

4) …]IC . GRAMATE[UC] . [CYNA]GOGHC . KA[MPHCION] (Frey 433: Via Portuense, catacomba di Monteverde, scavi Muller 1904-1906, Musei vaticani. La sinagoga potrebbe essere anche quella dei Calcarenses. Il lapicida è quello che fa la H senza il trattino superiore destro). Un grammateus.

5) IOYLIANOC . IEREYC . ARXON . KALKARHCION . YIOC . IOYLIANOY . ARXICYNAGOGOY (Frey 504: Via Portuense, catacomba di Monteverde. L’iscrizione occupava la parte centrale di un sarcofago utilizzato come fontana, e visto dal Lupi prima del 1734 “Romae, in cavaedio palatii DD. de Naris, ad sanctae Clarae“. Il Garrucci vede l’epigrafe ancora nel luogo indicato dal Lupi. La via Nari, oggi di S. Chiara, era in Rione S. Eustachio fra il palazzo di questa famiglia e il Palazzo Sinibaldi. Il vicolo de’ Nari era fra via dei Caprettari e via S. Chiara). Iuliano arconte, figlio di Iuliano, archisinagogo.

6) KATTIA . AMMIAC . ZYGATHR . MHNOFILOY . PATHR . CYNAGOGHC . TON . KAPKARHCION (Frey 537: Via Portuense, catacomba di Monteverde, Musei vaticani. Lastra rotta in più pezzi e riunita nel 1924, De Rossi vide solo il frammento destro). Menophilo pater synagogae.

Il Frey vedeva nel nome di questa sinagoga il riferimento preciso ad un toponimo, e non il riferimento alla professione svolta dai suoi appartenenti, e ricorda che nella regione a sud del Campo Marzio, presso il Circus Flaminius, nel secolo XI esisteva una zona chiamata Calcaria. La sinagoga va ubicata in Campo Marzio. Torneremo sull’argomento.

SINAGOGHE DELL’AREA ORIENTALE

Sinagoga dei Suburenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Suburenses.

Localizzazione: certa ma generica, in Suburra.

Datazione: probabile, I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in cinque iscrizioni, più forse una sesta di dubbia interpretazione.

1) DIOPHATOC . GRAMMATEYC . CIBOYRHCON (Frey 18: Via Nomentana, catacomba di Villa Torlonia, iscrizione dipinta). Diophatos grammateus,

2) EYLOGE[I]OU . [TOU] . ARX[ONTOC] . [CYNAGOGHC] . CIBOYRH[CON] (Frey 22: Via Nomentana, catacomba di Villa Torlonia, iscrizione dipinta, molto danneggiata). Eulogio arconte.

3) KLAYDIOC . [ARXON . CIBOYR]HCION (Frey 37: Via Nomentana, catacomba di Villa Torlonia, iscrizione su marmo).

4) [GRAMMAT]EOC . CIBOYRHCION (Frey 67: Via Nomentana, catacomba di Villa Torlonia, iscrizione dipinta, molto danneggiata). Grammateus.

5) MARONIC . O . KE[..] . KE […] . […]HTOC . EGGON . ALEXANDRO[U . TO]U . X[AI] . MA[TH]IOY . ARXON . C[…]YRHCION (Frey 140: Via Appia, catacomba di Vigna Randanini, iscrizione su marmo). Alessandro, detto Mathios, arconte.

6) NEIKODHMOC . O . ARXON . CIBOYRHCION (Frey 380: Via Portuense, catacomba di Monteverde, iscrizione su marmo, Museo Borgiano di Velletri, ora al Museo Nazionale di Napoli. Vista da Amaduzzi, citato in Bellori con riferimento ad una lettera del 4 febbraio 1764). Nicodemo, detto Ablabio, arconte.

La sinagoga sorgeva nella Suburra. Torneremo sull’argomento.

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1777 Rione Monti.

Sinagoga dei Sicinenses

Scheda tecnica:

Tipologia: proseuchà (edificio di culto).

Nome: sinagoga dei Sicinenses.

Localizzazione: esatta, sull’Esquilino in località Sicinino.

Datazione: I secolo d. C.

Questa sinagoga è ricordata in una sola iscrizione.

1) A[D]IOYTOP . GRAMM[ATEUC] . SEKHNON (Frey 7: Via Nomentana, catacomba di Villa Torlonia, iscrizione dipinta). Adiutor grammateus.

Gli studiosi, a cominciare dal Frey, attribuiscono il nome ad una comunità di Ebrei provenienti da Skina, oggi Medinet es-Sultan, porto dell’Africa del nord, indicato nella Tabula Peutingeriana come “Scina, locus Judaeorum Augusti“, nell’Itinerario Antonino come “Iscina“, e in Tolemeo come “ICKINA“.

La sinagoga sorgeva sull’Esquilino. Torneremo sull’argomento.

SINAGOGHE DEL CAMPO MARZIO

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1777 Campo Marzio.

 

Sinagoga dei Campenses e sinagoga dei Bolumnenses nel Campo Marzio

Torniamo sull’argomento della sinagoghe dei Campenses e dei Bolumnenses. La proselita Beturia incontra Rabbi Gamaliel e gli altri saggi negli anni 90-95 d. C., e quando muore sedici anni dopo, aveva il titolo onorifico di mater synagogae Campi et Bolumni, ovvero mater delle sinagoghe dei Campenses e dei Bolumnenses, due gruppi distinti e con origini diverse. I Bolumnenses o Volumnenses erano gli ebrei riuniti nella sinagoga intitolata al procuratore Volumnio. I Campenses erano gli ebrei riuniti nella sinagoga che prendeva il nome dal luogo in cui era sorta, cioè in Campo, e il Campo per eccellenza era il Campo Marzio. E’ molto probabile che la proselita Beturia fece numerose elargizioni al suo nuovo gruppo di appartenenza, mettendo a disposizione probabilmente anche la propria casa dove fare una nuova sinagoga, che sarà detta dei Campenses perché sorgeva nel Campio Marzio, e non era lontana dalla già esistente sinagoga dei Volumnenses. Vediamo così che il gruppo dei Volumnenses e quello dei Campenses scegliendo Beturia come mater delle loro due sinagoghe, confermano la vicinanza fra i due edifici di culto.

Il Campo Marzio comprendeva tutta la pianura all’esterno delle Mura Serviane che aveva come asse principale la Via Flaminia che univa la Porta Fontinalis e la Porta Flaminia. Quest’asse in una sua parte veniva chiamato anche Via Lata (Via del Corso). Le maggior parte delle strade moderne ricalcano il percorso primitivo di quelle antiche e i quartieri conservano l’aspetto topografico antico. I confini del campo Marzio erano:

a) in alto la Porta Flaminia (Piazza del Popolo);

b) a mano sinistra il Tevere da Ponte Regina Margherita a Ponte Sisto;

c) in basso;

d) a mano destra Via del Corso da Piazza Venezia a Piazza del Popolo.

Questa area molto vasta si divideva nel:

1) Campo Marzio settentrionale, compreso tra la Via Flaminia, la Porta Flaminia, il Tevere e in basso la Via Recta. In quest’area sorgevano diversi monumenti alcuni dedicati ad Augusto come il Solarium Augusti, il Mausoleum Augusti e l’Ara pacis, e altri dedicati ad Agrippa come lo Stagnum Agrippae, la Porticus Vipsania e il Campus Agrippae.

2) Campo Marzio centrale, compreso tra Piazza Navona e Via del Corso nel senso est-ovest, tra Via dei Coronari-Via delle Coppelle a nord, e Via delle Botteghe Oscure a sud. L’Ara di Marte era il polo di attrazione del Campo Marzio centrale da collocare tra Piazza Venezia – Via del Corso – piazza del Collegio Romano, forse al centro di Via del Plebiscito al di sotto di palazzo Doria.

3) Campo Marzio meridionale: il settore meridionale compreso tra il Teatro di Marcello e Ponte Vittorio Emanuele, che costeggia il Tevere faceva parte del Circus Flaminius. Il Circo Flaminio occupava la zona compresa tra il Teatro di Marcello, Piazza Cairoli, Via del Portico di Ottavia e il Tevere.

– località Campo Marzio.

Nel medio evo era quasi deserta e cominciò ad essere nuovamente abitata dal secolo XIV dai profughi dell’Illiria e della Schiavonia rifugiati a Roma. Il 21 aprile 1453 la chiesetta di S. Maria de Posterula viene regalata alla compagnia degli Schiavoni, dai quali prese il nome anche la contrada circostante detta Schiavonia. Pochi anni dopo in questa zona sorsero le case di architetti e muratori lombardi, riuniti nella società di S. Gregorio dei Muratori.

– chiesa di S. Nicola de tofo, tufo, tufis.

La chiesa di S. Nicola de tofo viene ricordata fin dal X secolo. Il 30 agosto 1471 la chiesa di S. Nicola de tofo viene concessa alla nazione lombarda. Nel 1521 è chimata S. Ambrosio de Milano. Ricostruita nel 1612-1612 è oggi S. Carlo al Corso.

– chiesa di San Biagio a Campo Marzio.

E’ un’antica chiesetta situata in Vicolo de Materazzari, fra Via dei Prefetti e Piazza Borghese. Detta anche SS. Biagio et Cecilia della compagnia dei Manuali. La chiesa è oggi dedicata alla Madonna del Divino Amore. Negli Avvisi di Roma del 7 agosto 1604 leggiamo che in questa chiesa fu trovata un’epigrafe sulla quale si leggeva “In hoc loco solebat orare S. Caecilia“.

– chiesa di S. Maria in campo Martis, o campi Martis.

Antichissimo monastero detto Monasterium sanctae Mariae in campo Martis, o campi Martis. Annesse al monastero vi erano due piccole chiese una dedicata a S. Maria e l’altra a S. Gregorio Nazianzeno, il corpo del quale venne traslato a Roma nella seconda metà secolo VIII. Questa chiesa di S. Gregorio coincide con l’oratorio sancti Gregorii quod ponitur in campo Martis.

Incrociando questi dati possiamo affermare che queste due sinagoghe erano ubicate nel Campo Marzio, forse nell’area settentrionale, a non molta distanza l’una dall’altra, e che la sinagoga dei Volumnenses intitolata a Volumnio esisteva fin dagli anni 30 d. C. circa, ed era più antica di quella dei Campenses, sorta nella seconda metà del I secolo d. C. circa.

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1777 Rione Parione (compare la Chiesa di S. Stefano in Piscinula).

Sinagoga dei Calcarenses in Via dei Banchi Vecchi

Torniamo sull’argomento della sinagoga dei Calcarenses. Questa sinagoga viene documentata sia dalle fonti antiche che da quelle medievali.

– frammenti della Forma Urbis Severiana.

Nel frammento perduto n. 682 della Forma Urbis Severiana si conservava parte di un edificio davanti al quale c’era una fila di pilastri quadrati, con sotto le ultime lettere …ES. In basso a sinistra a fianco di un’altra costruzione c’era l’inizio di un’altra costruzione con l’inizio della scritta SYN… Lo Huelsen ha avvicinato questo frammento 682 al frammento 672 per affinità di disegno, e nel frammento 672 si vedono due templi in un’area recintata, preceduti da un’ara posta davanti alla scalinata, accompagnati dalle scritte con orientamento diverso “AEDES…” e “INTEL…“. Queste scritte sono state variamente interpretate come “IN TELLURE AEDES TELLURIS ET PALLADIS” e “INTELLURE“, e il frammento è stato anche attribuito alla zona prospiciente il Colosseo. Lo Huelsen proponeva di leggere TERENTUM e dunque la sinagoga ricordata nell’altro frammento sarebbe stata vicino al Terentum. Il Terentum viene menzionato con i ludi saeculares ed era ubicato in extremo Martio campo nei pressi del Tevere, e circondava la Ditis Patris et Proserpinae ara scoperta nel 1888 fra la Chiesa Nuova e la Piazza Sforza Cesarini, e probabilmente si estendeva verso il Tevere. Festo descrive così Terentum locus in Campo Martio dicitur quod eo loco ara Ditis Patris terra occultaretur. L’altare di Dis e Proserpina di età imperiale è stato scoperto nel 1886-1887 sotto Palazzo Cesarini, cinque metri al di sotto del livello stradale di Corso Vittorio Emanuele. In un muro medievale non lontano, c’erano lastre marmoree recanti le iscrizioni delle celebrazioni dei ludi saeculares di Augusto dl 17 a. C., e di Severo del 204 d. C. Lo Huelsen propose di accostare i due frammenti 672 e 682  integrando “INTER DUOS …ES AEDES SYN“. E’ stato proposto di identificare il frammento 672 con il Tarentum, il principale santuario della zona del Campo Marzio occidentale, un’area prossima al Tevere dove si trovava l’ara dedicata a Dis e Proserpina, per cui il frammento 672 potrebbe essere integrato “AEDES Ditis et Proserpinae INTErento“, e il complesso occupava certamente un’area presso la riva del fiume, quasi allo sbocco del Pons Neronianus. Il frammento 682 della Forma Urbis Severiana conservava sicuramente parte del nome di una sinagoga e se come proponeva lo Huelsen, questo frammento fosse ricongiungibile con il frammento 672, in cui sarebbe rappresentato il Terentum, avremmo un preciso riscontro fra le fonti letterarie e i frammenti della pianta marmorea severiana. La ricollocazione del frammento 672, ove sono raffigurati i due tempietti di Dis e di Proserpina, nell’area di piazza Sforza Cesarini, e il ricongingimento del frammento 682 in cui si conservano le lettere “SYN” verrebbero confermati dalle fonti e dalla toponomastica di età medievale. Però non possiamo escludere che il frammento 682 possa essere interpretato separatamente dal frammento 672, per cui la sinagoga non sarebbe pertinente all’area del Terentum. Il Terentum localizzato precedentemente in Piazza Sforza Cesarini, è stato poi collocato presso il Lungotevere dei Fiorentini, fra l’omonimo Largo e la Piazza dell’Oro.

Terentum.

Il Tarentum o Terentum, luogo di culto antichissimo, che sorgeva “in extremo Campo Martio” è stato localizzato presso Ponte Vittorio Emanuele, mentre precedentemente veniva identificato con l’edificio quadrangolare scoperto in Piazza Sforza Cesarini, che ora viene identificato con un ustrinum, forse quello di Adriano. L’edificio scoperto nel 1888 fra la Chiesa Nuova e la Piazza Sforza Cesarini era l’Ara di Dis e Proserpina. Il luogo veniva così descritto “Terentum locus in Campo Martio dicitur quod eo loco ara Ditis patris terra occultaretur“, e “Terentum in Campo Martio locum Verrius … Ditis patris aram“.

Palatium Cromatii.

Esistevano nell’antichità esempi leggendari di edifici astronomico – astrologici come il palazzo di vetro del prefetto Cromazio sotto l’impero di Diocleziano, a cui si lega una storia, che mette in evidenza il rapporto fra cristianesimo e astrologia, perché è lo stesso San Sebastiano che indurrà Cromazio a distruggere l’edificio dove era contenuta tutta la disciplina delle stelle.

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Beit Alpha, Sinagoga, mosaico con raffigurato lo Zodiaco (VI secolo)

Nella redazione più antica della guida per pellegrini Mirabilia Urbis Romae leggiamo “Ad Sanctum Stephanum in Piscina Palatium Cromatii praefecti, et templum quod dicebatur Olovitreum, totum factum ex cristallo et auro per artem mathematicam, ubi erat astronomia cum omnibus signis Caeli, quod dextruxit sanctus Sebastianus cum Tiburtio filio Cromatii“.

Nell’Ordo di Benedetto Canonico viene specificato “per porticum et per praelibatum pontem, intrans sub arcu triumphali Theodosii, Valentiniani et Gratiani imperatorum et vadit iuxta palatium Chromatii, ubi Iudaeum faciunt laudem, prosiliens per Parrionem inter circum Alexandri et theatrum Pompeii“.

Nel Liber Politicus dello stesso Benedetto Canonico viene indicato il percorso in senso contrario “Et sic sinistra manu descendit ad maiorem viam Arenulae, transiens per theatrum Antonini et per palatium Chromatii, ubi fuit olovitreum, et sub arcu Gratiani, Theodosii et Valentiniani imperatorum…“.

Il Gregorovius narra che “Beniamino di Tudela visitò Roma al tempo di Papa Alessandro III, incontrando gente molto influente fra i suoi correligionari, persino alla corte papale, e di aver incontrato rabbini di non comune saggezza quali Daniele, Jehiel, Joab, Nathan, Menahem e altri ebrei in Trastevere. Il rabbino Jehiel trans Tiberim habitans era introdotto alla corte papale, il rabbino Nathan aveva scritto nel 1101 un vocabolario talmudico e suo padre aveva fu autore di componimenti liturgici. … La città risuonava del fragore della guerra civile sotto Anacleto II… In occasione delle agitate processioni che egli indisse da pontefice i nostri occhi possono vedere la sinagoga ebraica eretta presso il favoloso palazzo di Cromazio…L’Ordo composto da Benedetto Canonico nell’anno 1143, nel cui codice troviamo pure i Mirabilia, descrive così il percorso della processione pontificia attraverso Roma… e sale al Vaticano e alla basilica dell’apostolo Pietro. Terminata la messa, egli è incoronato, percorre in processione questa “sacra via”: attraversa il Porticus e il suddetto Ponte (di Adriano), egli passa sotto l’arco di Trionfo degli imperatori Teodosio, Valentiniano e Graziano, e costeggia il palazzo di Cromazio, dove gli ebrei intonano laudi, quindi attraverso il Parione, tra il circo di Alessandro e il teatro di Pompeo, scende per il Porticus di Agrippina, risale per la Pinea, accanto alla Palatina, supera S. Marco… sancta Via dove le processioni pontificie si snodavano… E dove non manca neppure il palazzo del prefetto Cromazio nella regione Parione, dove si erano stabiliti gli ebrei. Il libro descrive questo edificio romano che a quel tempo esisteva ancora, se pure in rovina, ed era situato vicino a S. Stefano in Piscina; lo chiama templum Olovitreum, che significa tutto composto di mosaico, tutto di vetro, cristallo e oro, fatto con arte magica e adorno delle immagini degli astri celesti. L’autore sapeva che questo meraviglioso palazzo era stato distrutto da Sebastiano e Tiburzio, fratello del prefetto Cromazio“.

Il Palatium Cromatii ricorre anche nella Passio S. Sebastiani, e nella vita di Papa Gaio.

Passio Sancti Sebastiani (di Arnobio il Giovane, monaco del V secolo, e poi nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine).

… Secondo la leggenda Sebastiano visse sotto l’impero di Domiziano. Nato a Milano da padre di Narbona e da madre milanese, fu istruito nei principi della fede cristiana. Si recò poi a Roma dove entrò a contatto con la cerchia militare alla diretta dipendenza degli imperatori. Divenuto alto ufficiale dell’esercito imperiale, fece presto carriera e fu il comandante della prestigiosa prima Coorte della prima legione  di stanza a Roma per la difesa dell’Imperatore. … Marco e Marcelliano, figli di Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. … I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita persuadendoli a perseverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. … Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di persone: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. … Marco, Marcelliano, Tranquillino, e lo stesso prefetto di Roma di nome Cromazio con tutta la sua famiglia con più di mille persone, tutti i servi furono guadagnati alla fede da Sebastiano e dal santo Pontefice accolti nella Chiesa. … Quando Diocleziano scoprì che Sebastiano era cristiano esclamò: “Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me”. Sebastiano fu quindi condannato a morte. Fu legato ad un palo in un sito del colle Palatino, denudato, e trafitto da così tante frecce in ogni parte del corpo da sembrare un istrice. … Sorpreso alla vista del suo soldato ancora vivo, Diocleziano diede ordine che Sebastiano fosse flagellato a morte, castigo che fu eseguito nel 304 nell’ippodromo del Palatino, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima.

– Vita di Papa Gaio.

Cajo ringraziava Iddio delle molte conversioni che per opera di Sebastiano succedevano, e intanto procurava di servirsi dei mezzi intellettuali ed anche materiali dei novelli convertiti per fare del bene agli altri. Mandò egli un giorno a chiamare Cromazio che era uomo ricchissimo e già divenuto fervente cristiano. A Cromazio,  egli disse, “Dio ti aprì una strada per impiegar bene le tue ricchezze, tu vedi le angustie e le necessità in cui sono posti i tuoi fratelli cristiani, loro è tolto il mezzo di poter vivere senza perder l’anima o la vita. Tu che sei ricco e potente puoi liberarli da questo pericolo. Considera tutti i cristiani come figliuoli tuoi siccome sono tutti figliuoli di Dio. Esso te li raccomanda per mezzo mio affinchè tu li mantenga colle tue ricchezze”. Nulla più stava a cuore a Cromazio che poter santamente impiegare le sue sostanze, e per mezzo dei suoi amici fece raccogliere nascostamente quanti cristiani potè nel suo palazzo. Colà egli, come alla propria famiglia, dava loro per amor di Dio ogni giorno il necessario mantenimento. Ma tante erano le spie poste ad ogni luogo per andar in traccia di cristiani, che Cromazio giudicò necessario uscir di Roma per sottrarsi agli occhi degli esploratori. Adducendo per motivi la sua età e le sue infermità dimandò ed ottenne dall’imperatore di potersi andare a vivere in una sua grande proprietà che possedeva nella Campania sulle rive del mare Mediterraneo. Partendo da Roma disse al papa e a Sebastiano, che tutti i cristiani i quali avessero voluto fuggire dalla rabbia dei persecutori avrebbero potuto liberamente andare con lui, dove sarebbero ben accolti, mantenuti e provveduti di quanto occorreva per la vita. … Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Il figlio invece rimase a Roma dove patì il martirio, poi, uno a uno, anche gli altri cristiani morirono per aver abbracciato la nuova religione: Marco e Marcelliano finirono trafitti da lance, il loro padre Tranquillino lapidato, Zoe sospesa per i capelli a un albero e arrostita. Molti partirono alla volta della Campania, parecchi altri rimasero in città. Ma trattandosi di mandar qualcheduno ad assistere quei novelli cristiani e continuare ad istruirli nella fede, nacque una gara fra Policarpo e Sebastiano. Ambedue amavano di rimanere in Roma, poi Pancrazio partì… Intanto venne la domenica e Cajo invitò i cristiani a radunarsi nella casa di Cromazio per ascoltare la messa… Tiburzio era figliuolo del prefetto Cromazio. Egli aveva intrapreso lo studio delle leggi e per ingegno e per ricchezze vedovasi aperta la più luminosa carriera nel mondo. Ma instruito nella fede da Sebastiano ricevette il Battesimo… Quando Cromazio partì a con quei fedeli che lo vollero seguire, il Pontefice coi due fratelli Marco e Marcelliano, e col padre loro Tranquillino, rimasero in Roma. Con essi erano molti altri guidati da Sebastiano. … Ma saputosi il sito dove solevano radunarsi i cristiani, Cajo non si giudicò più sicuro nella casa di Cromazio da lui cangiata in Chiesa, e andò ad abitare in casa di un certo Castulo, capo cameriere della casa imperiale. Egli abitava nel medesimo palazzo, ma nelle camere più elevate dell’edifizio. Il santo Pontefice si pensò di essere colà sicuro perchè niuno sarebbesi immaginato, che i cristiani avessero voluto radunarsi nella reggia medesima dell’imperatore loro acerbissimo nemico. Cajo prese una camera di quelle abitate da Castulo e la mutò in una chiesa. … Fra quelli che numerosi furono ricevuti da s. Cajo nella fede, mentre viveva nelle catacombe, fu il glorioso Pancrazio con Dionigi suo zio. Pancrazio era nato in Sinnada città della Frigia nell’Asia Minore. I suoi genitori appartenevano alle più illustri e ricche famiglie di quel tempo, e morirono quando Pancrazio toccava appena l’età di anni 10. Il padre morendo lo affidò a suo fratello Dionigi, che poco dopo la morte dei genitori giudicò bene di trasferirsi col nipote a Roma. Suo scopo era di poter meglio amministrare i beni che Pancrazio possedeva presso in quella città, ed anche procurare al medesimo maggior comodità d’istruirsi nelle scienze. Andò a fissare dimora in un suo podere che racchiudeva un aggregato di case detto Cuminiana sopra il monte Celio, e intorno al monte Celio vi erano molte caverne, e catacombe, alcune fatte dalla natura, altre a bella posta scavate. In uno di questi antri stava nascosto Papa Cajo. La moltitudine dei miracoli che questo santo Pontefice operava, e le luminose virtù che praticava giunsero a notizia di Pancrazio e di Dionigi. Per soddisfare ad una innocente curiosità risolsero di andar anch’essi a vedere quell’uomo che era divenuto l’oggetto dell’ammirazione di tutti i buoni. Giunti all’entrata di quel sotterraneo si misero a picchiare. Corse il portinajo del papa, di nome Eusebio, che partecipò l’ambasciata al papa, e Cajo comandò che fossero immediatamente introdotti. … Il nipote Pancrazio non tardò molto ad andare a raggiungere l’amato zio nella patria dei beati. Pochi giorni dopo mentre veniva dall’abitazione del Pontefice, una turba di birri si accorsero che egli era cristiano. Il lasciarono entrare nella propria casa, dipoi gli tennero dietro e strettamente legato lo condussero dinanzi a Diocleziano … che ordinò che gli venisse troncato il capo. … Pancrazio si prostrò ginocchioni e baciò il terreno dicendo “O fortunato Campidoglio o fortunato Campidoglio!” … e in quel momento gli fu vibrato un colpo di scimitarra che troncandogli le parole sulle labbra gli spiccò il capo dal busto. Pancrazio compieva il suo glorioso martirio il 12 Maggio nel 293 in età di circa quattordici anni. Con la morte di Sebastiano e col martirio di Pancrazio si compievano nove anni del pontificato di s. Cajo… Faceva anche frequenti gite a casa di Cromazio, a casa di Castulo, e a casa di Gabinio suo fratello. … Due mesi dopo la morte di Gabinio, cioè il 23 aprile, Cajo veniva scoperto e raggiunto dai carnefici che furiosi gli troncarono la testa senza che siansi potute raccogliere maggiori circostanze del suo martirio. Questo fatto compievasi l’anno 296.

Thermae Agrippae, stagnum Agrippae, Horti.

Le Thermae Agrippae, costruite nel 25 a. C., sorgevano nella zona a nord di Largo Argentina, tra Corso Vittorio Emanuele e via di S. Chiara, e si estendevano tra Largo di Torre Argentina, Via di Torre Argentina, via Arco della Ciambella e Via dei Cestari. Nell’80 d. C. andarono a fuoco ma furono restaurate da Tito o da Domiziano, e poi ancora da Adriano. Un’iscrizione ritrovata vicino a S. Maria in Monterone fa riferimento ad un restauro di Costanzo. A ovest delle Terme, tra corso Vittorio Emanuele e la via de’ Nari fu fatto lo stagnum Agrippae, un lago artificiale. Le Thermae Agrippae, lo stagnum Agrippae e gli Horti formavano un complesso unico. Dal secolo VII il monumento appare distrutto ed i suoi marmi venivano bruciati, da qui il nome Calcararium dato dalle fonti medievali.

– località Piscina, Pisciola, de pisciola, de pisciola ad funarios, de piscibus.

Il largo davanti la chiesa di S. Stefano in Piscinula veniva chiamato piazza della Piscina, e la chiesa veniva definita de pisciola, de pisciola ad funarios, de piscibus. Nei Mirabilia viene chiamata “S. Stephanum in piscina palatium Cromatii praefecti“. Nel catasto del Gonfalone del 1522 viene ricordata come S. Stefano di Picchierari o Bicchierari, nome derivato da una “fornace de li bicchieri“.

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Edicola di S. Stefano in Piscinula.

– chiesa di S. Stefano in Piscinula, de Piscina, de piscibus, de Pisciola, a la chiavica di S. Lucia.

La chiesa di Santo Stefano in Piscinula è una chiesa scomparsa di Roma, nel rione Parione. Essa si trovava in via dei Banchi Vecchi, quasi dirimpetto alla chiesa di Santa Lucia del Gonfalone, all’incrocio con il vicolo Cellini. Sull’edificio che ne include l’area, oggi è collocato un medaglione con l’immagine del santo titolare, il protomartire santo Stefano, a ricordo dell’antico luogo di culto. La chiesa di S. Stefano de Piscina è annoverata fra le filiali di S. Lorenzo in Damaso, nel 1186 è nota con i nomi di S. Stephani de piscibus, S. Stephani in piscinula, S. Stefano de Pisciola, e S. Stefano a la chiavica di S. Lucia. Questa chiesa era vicinissima a quella di S. Lucia in Gonfalone o della Chiavica, presso quell’edificio che nel medio evo veniva chiamato Palatium Cromacii. Il luogo della chiesetta di S. Stefano è segnato in alcune piante dei secoli XVII e XVII nella via dei Banchi Vecchi, quasi di fronte alla chiesa di S. Lucia del Gonfalone, l’edificio appare inserito nell’isolato quadrangolare che affaccia sulla piazza Sforza Cesarini. Racconta il Fea che nel 1741 sotto la chiesa “si trovò un’antica fabbrica romana di curiosa struttura che gli antiquari credettero essere stata una privata piscina da cui ebbe il nome la chiesa, ivi si trovarono colonne di verde antico bellissimo“. La chiesa fu riedificata nel 1750, e sarà distrutta prima del 1870. Un’immagine di S. Stefano è stata collocata nel posto occupato dalla chiesa, all’angolo delle case dirimpetto a S. Lucia, a ricordo dell’edificio distrutto.

– chiesa di S. Lucia del Gonfalone, in Pescivoli, della Chiavica, de la chiavica de Ponte.

La chiesa di S. Lucia del Gonfalone, veniva chiamata anche anche sanctam Luciam novam, S. Lucia nuova, S. Lucia in Pescivoli, S. Lucia della Chiavica, e S. Lucia de la chiavica de Ponte. In un documento del 1352 la chiesa ha la denominazione di sanctam Luciam novam e si ricorda che era ancora viva in quel secolo la memoria dell’edificazione della chiesa. L’anno 1371 troviamo la seguente notizia “Lippus Rubeis funerarius de regione Parionis et parochiae sancti Stephani prope sanctam Luciam novam“. Veniva chiamata anche S. Lucia in Pescivoli, S. Lucia della Chiavica, e S. Lucia de la chiavica de Ponte, e al suo altare venivano portati occhi d’argento e di cera, come offerte votive, e anche Benvenuto Cellini lavorò ad uno di questi occhi. Fra le numerose località che presero il nome da una chiavica questa è quella più spesso ricordata, e la chiesa veniva chiamata sia S. Lucia nuova, che S. Lucia del Gonfalone, che S. Lucia della Chiavica. Talvolta la Chiavica di S. Lucia veniva chiamata anche Chiavica de Ponte, o chiavica per antonomasia come nel 1478 quando viene definita “locum ubi dicitur la Chiaviga“. Il nome de Ponte veniva spesso dato alla Chiavica di S. Lucia, come nel 1898 quando la chiesa fu chiamata “Santa Lucia de la chiavica de Ponte“. La via o piazzetta della Chiavica di S. Lucia ora fa parte di via dei Banchi Vecchi.

– chiesa di S. Lorenzo in Piscivolis.

La chiesa era situata vicino S. Lucia della Chiavica.

– chiesa di S. Andrea de Aquariatris, Aquarenarii, de Aquaricciaris.

La chiesa forse sorgeva dove è oggi la chiesa di S. Maria della Pace, e si trovava perciò entro i confini dell’antica parrocchia di San Biagio de Oliva. Gli autori ritengono che forse la chiesa ai tempi di Cencio Camerario veniva chiamata S. Andrea del pozzo di Proba. Nel 1380 viene ricordato “Georgius Georgi de regione Pontis, et parochia sancti Andreae de Aquaricciaris“.

– località Calcararii, de Calcarariis, de’ Calcararii, de Calcarario, de Calcariis, Calcarii, ad Calcaria.

Dalle fonti conosciamo l’esistenza della Schola Calcariensium, la corporazione dei calcararii (Cod. Theod, XII, I, 37), menzionata anche in due iscrizioni ritrovate nei pressi delle Terme di Diocleziano. Secondo alcuni autori nei pressi delle Terme e del Vicus Pulverarius sorgeva la sinagoga dei Calcarenses. Il Vicus Pulverarius è attestato nella Regio I dalla Base Capitolina (CIL, VI, 975), e dalle fonti medievali. La contrada dei Calcararii o Calcarii si estendeva a nord del Circo Flaminio fra piazza Mattei, la soppressa piazza S. Nicola de’ Cesarini, e le Terme di Agrippa. Nel 1023 compare per la prima volta il nome della contrada “ad Calcaria“. Nel 1540 le Taxae viarum riportano lo “Iettito et taxa per riaconciare la chiavica de Calcararj” dove c’erano le località dette strada de’ catinari, via verso Sancta Anna, via de San Marco che vene verso Calcararj e Pontiche obscure“. Questa contrada ha dato il nome alle chiese di S. Nicola de Calcarario o de’ Cesarini, S. Lorenzo de Calcarariis, SS. Quaranta de Calcariis, S. Salvatore de Gallia o de’ Calcararii. Il Marchetti Longhi dà alla contrada questi confini:

a) Chiesa delle Stimmate, Corso Vittorio Emanuele fino allo sbocco dell’Arco dei Ginnasi;

b) il rettifilo Via Florida – Via Botteghe Oscure fino all’angolo di via de Funari;

c) via de Falegnami fino a piazza Mattei;

d) vicolo e piazza Paganica.

– località Arco dei Calcarari.

In una donazione del 1192 fatta alla chiesa S. Maria Domine Rose, che sorgeva dove ora c’è la chiesa di S. Caterina de’ Funari, sono descritti i confini del castellum aureum o Circo Flaminio con queste parole “ab utraque parte vie et piscinam cume turre Salitule usque in arcum Sellariorum“. In un documento dell’anno 1395 leggiamo “arcum antiquitus vocatum Sellariorum et nunc vocatur Calzellariorum“. Sorgeva nella via pubblica parallela a quella di S. Ambrogio della Massima, e coincide con l’Arco de’ Boccamazzi.

– località Arco Boccamazzi.

In un documento dell’anno 1491 viene ricordato “macellarius ad archum de Bochamatiis prope plateam Iudeam“. In un documento dell’anno 1538 viene ricordata la “domus Alexii de Buccamatiis inter plateam illorum de Matteis que domus dicitur la casa dell’Arco“. Corrisponde all’Arco detto dei Calcarari e dei Sellari.

Le chiese ricordate con questo toponimo sono numerose:

– chiesa di S. Nicola de Calcarario, Calcararium, de Calcaris.

La chiesa di S. Nicola de Calcarario, che viene chiamata Calcararium da Cencio Camerario, e de Calcaris dal Signorini, corrisponde oggi a S. Nicola de’ Cesarini sulla via e piazzetta omonima. Le fonti riferiscono che era congiunta al palazzo di monsignor Cesarini e che all’epoca dicevasi S. Nicola de Calzolari. Nel secolo XI veniva specificato che la zona “de calcarario” era “in regione vineae Thedemarii“. In un documento del 1369 ritroviamo questa descrizione “Franciscus Pucci notarius de regione Campitelli donat Dominae Lellae filiae D. Nicolai de Buccamatis unum accasamentum sive palatium in parochia s. Nicolai de Calcariis vocatum el palazzo novo“. Nel XIV secolo era della terza partita ed aveva un sacerdote, e nel cortile del Convento furono ritrovati i resti del Tempio di Ercole Custode.

– chiesa di S. Lorenzo de Calcarario.

La chiesa di S. Lorenzo de Calcarario, sorgeva nella contrada posta nelle adiacenze di via Cesarini non lontano dal Palazzo Cesarini poi Vitelleschi. La chiesa veniva chiamata anche in pensilis. L’area più anticamente veniva chiamata “in Palatinis“, o “de in Pallacinis“. Il Grimaldi dà l’esatta posizione topografica della chiesa che era quasi dirimpetto al Palazzo Mattei, e che fu distrutta nella fabbrica del Monastero di S. Caterina de’ Funari.

– chiesa dei S. Quaranta de Calcariis.

La chiesa dei SS. Quaranta de Calcariis sorgeva su quel tratto della via Papale detta ora de’ Cesarini. La chiesa prese il nome dal Calcararium, ovvero i forni di calce che sorgevano in zona. Nel XIII secolo viene chiamata ecclesia sanctorum Quadraginta de calcariis, ed era servita da un sacerdote. Nel XVI secolo veniva chiamata anche SS. Quaranta de Leis da una famiglia che nel luogo possedeva diverse case (Lonigo). La chiesa, distrutta nel 1595, verrà poi ricostruita e dedicata alle SS. Stimmate di San Francesco. Nello scavo delle fondamenta fu ritrovato molto materiale archeologico descritto dal Terribilini “10 aprile: nelle fondamenta si trovò una tessera di rame col nome di … imperatore, molte lucerne, alcuni frammenti di lapidi, una medaglia di Giulia Pia e delle medaglie antiche dei secoli imperiali“.

– chiesa di S. Salvatore de Calcarariis.

La chiesa di S. Salvatore de Gallia de Calcarariis, sorgeva nei pressi del Circo Flaminio laddove oggi ci sono le chiese di S. Nicola e delle SS. Stimmate. Dal Codice di Torino risulta che era piccola e abbandonata e senza servitori. Il Signorili la chiama de Gallia dai francesi che la possedettero fino al 1478, quando la permutarono con la chiesa di S. Maria de Cellis per erigere la loro nuova chiesa.

– località Vigna Tedemari

Nella divisione rionale del XIV secolo la Vigna di Tedemario era unito con quello di S. Eustachio Regio Octava. Regio sancti Eustachii et Vinea Tedemari. Nella divisione che risale ad Onorio III ma forse è dell’XI secolo, la regione vinea Tedemari è la XI. La vigna forse deriva il suo nome da Tedemario Guastaldo, personaggio documentato nel 945, ma anche altri personaggi con il nome Tedemario sono ricordati nel 1014, nel 1093, 1173 e nel 1184. Nel 1286 “Pietro di Giovanni Foschi della piazza che dicesi dei Giudei, vende a Giovanni di Cintio Papareschi un palazzo posto nel Rione della Vigna” (Carte Corvisieri, Arch. Capitolino, busta XV). Nel 1322 si registra “in regione Vinea Thedemarii et contrada Buccamatii“. Nel 1369 “Angela vedova di Guglielmo Cesarini, della regione Vinee Thedemarii, vende un palazzo presso S. Nicola de Calcarario“. Nel 1491 viene ricordato un “macellarius ad arcum de Bochamatii propre plateam Iudeam“. Nel 1524 viene ricordata una “domus in platea hebreorum“. Questa piazza dei Giudei era al Calcarario. La Regio Tedemarii occupava in parte la contrada del Calcarario, e si estendeva dalla moderna piazza di S. Nicola de’ Cesarini, e piazza S. Elena, fino a la piazza dei Satiri. Talvolta la regione è chiamata soltanto Vigna.

– piazza e via Cesarini.

La piazza e la via de’ Cesarini prendevano il nome dalle case della famiglia Cesarini, distrutte. Incorporata nel Corso Vittorio Emanuele, e parte nella via di Torre Argentina, che si diceva strada dei Cesarini fin presso la chiesa di San Benedetto dei Norcini (Libro delle primogeniture in Arch. Capitolino, sez. V, c. 131, del 1625 al 1644; palazzo e case dei Cesarini, e vie e piazze adiacenti). Il nome di via de’ Cesarini fu applicato anche alla strada fra piazza del Gesù e via di Torre Argentina fin dopo il 1870. Il Nolli e il Falda registrano sotto il nome di strada dei Cesarini solo il tratto fra l’odierno Corso Vittorio Emanuele e Largo Arenula. I Cesarini si chiamavano in realtà Montanari ed è con questo nome che troviamo notizie nell’anno 1328 “Lucia vedova di Leone di Cesario Montanari, e figlia di Palmerio dei Tartari, vende a Lucia di Giovanni di Cesario della regione Vigna Tademari una casa presso S. Nicola de’ Calcarari, confinante con la via pubblica seu platea Cesarinorum“.

vicolo Cesarini.

Vicolo che oggi corrisponde a via dell’Arco de’ Ginnasi, che dalle Botteghe Oscure sboccava nella Via Papale, oggi Corso Vittorio Emanuele. Nel XVII secolo, la famiglia Cenci possedeva una “Casa nel vicolo dei Ginnasi incontro l’Arco“. Prima che prendesse il nome di Arco dei Ginnasi, questo veniva chiamato Arco della Luna e corrisponde all’Arco delle Botteghe Oscure. L’arco prima di prendere il nome dalla famiglia Ginnasi prendeva il nome dalla famiglia Amadei.

– località Banchi, Banchi Vecchi, Banchi Nuovi, Retro Banchi.

La contrada che si estendeva tra le vie di Banchi Vecchi, di Banchi Nuovi e di Banco S. Spirito aveva questi confini: “Si dichiara intendersi il nome di Banchi dal vicolo del Pavone presso al palazzo della Cancelleria per la strada dritta di Banchi fino in Ponte; e dal palazzo a San Biagio per strada Giulia e via Florida, e dal vicolo del Pavone per la strada di Monte Giordano che viene alla Zecca; e da Monte Giordano dalla strada di Panico fino in Ponte, comprendendosi anco la piazza dell’Altoviti e l’altra che va verso Tor di Nona” (grida del Governatore di Roma). Questa località compresa tra il palazzo di San Biagio per strada Giulia, fra via Banchi Vecchi e il Tevere, veniva chiamata Retro Banchi. Il Canale di Ponte diventa Via Banchi Nuovi quando il palazzo della Zecca passò al Banco di S. Spirito. Il Martinelli così descrive la via del 1644 “via de Banchi, dove sono diversi mercati, depositarij di Monti, negotianti, notarij Camerali e dell’Auditore della Camera, banderari, trinaroli, sarti, guantari, e fondachi di drappi. Cominicia da Ponte S. Angelo fino a S. Lucia et al Monte Giordano“.

– località Monte dei Cesarini.

L’odierna via del Sudario si chiamava Monte dei Cesarini perchè vi sorgeva il Palazzo Cesarini, ora distrutto, e perché dal lato della Torre Argentina vi erano molte altre case che appartenevano alla famiglia. Viene definita anche dei Boccamazza.

– località Brega dei Cesarini.

Il nome derivava forse da un’immagine posta dove la via di S. Nicola de’ Cesarini sboccava in via delle Botteghe Oscure.

– località Monte della Farina.

Il nome veniva dato all’attuale via fra il Sudario e S. Carlo ai Catinari. L’odierna via di S. Anna prima si chiamava via Monte della Farina e sfociava nell’omonima piazzetta detta Monte della Farina.

– contrada Bochamatii, Buccamatii, Buccamazzi, Boccamazzi, Bucchamatiorum.

La contrada Buccamazzi si estendeva nelle odierne via dei Barbieri e via Monte della Farina. Un documento parla dell’Ospedale di S. Andrea dei Teutonici ancora esistente in via Monte della Farina, procedendo a sinistra verso la chiesa di S. Carlo ai Catinari, che era quasi di fronte alla distrutta chiesa di San Biagio dell’Oliva. Negli anni 1372 e 1379, don Nicola da Culm, fondatore dell’Ospedale, comprò diverse case vicino alla sua abitazione in contrada de Buccamatiis per farvi l’ospedale.

– chiesa di San Biagio de Oliva, o della Fossa.

La chiesa di San Biagio de Oliva o degli Anelli sorgeva in via Monte della Farina, angolo nord con via dei Chiodaroli, venne distrutta nel 1617. In un documento dell’anno 1426 viene chiamata “Ecclesia S. Blaxi de Oliva Fosse Cupe“. La chiesa veniva chiamata anche della fossa, della Pace, ovvero in Trivio, ed era una chiesetta di Parione ove oggi c’è ancora via della Fossa.

– località Fosse Cupa, Fosse Cupe.

Località in rione Arenula presso il Monte della Farina. In un documento dell’anno 1426 il toponimo viene ricordato insieme alla chiesa di San Biagio de OlivaEcclesia S. Blaxi de Oliva Fosse Cupe“.

– località Pozzo bianco.

La contrada Pozzo bianco è uno dei riferimenti topografici che più spesso ricorrono nei documenti riguardanti i confini tra il rione Parione e quello di Ponte, e corrispondeva alle attuali via e piazza della Chiesa Nuova, cioè alla piazzetta di fronte alla chiesa di S. Maria in Vallicella e alle località circostanti. Nel 1503 furono messe a fuoco “tutte le botteghe delli spagnoli nella Canale de Ponte et Pozzo bianco“. Il 18 ottobre 1549 il Camerlengo ordinava di allontanare “meretrices in vicis et vicinatis putei albi et Pizimeroli vulgariter nyncupatis Jordani inclusive“. Il nome deriva da un pozzo, interrato nel 1575, che dava l’acqua ad un sarcofago in marmo bianco trasportato al Gianicolo, dove fu collocato sotto la quercia del Tasso. Il luogo aveva una pessima reputazione, perché era un postribolo.

– chiesa di S. Elisabetta a Pozzo bianco.

La chiesa e il monastero di S. Elisabetta, che sorgevano a levante di S. Maria in Vallicella, nel luogo ora attraversato dalla via della Chiesa Nuova, furono chiamati di Pozzo bianco. Nel 1613 troviamo la descrizione di una casa che sorgeva nella “piazza di pizzomerlo o pozzo bianco ovvero piazza di Sforza“. La chiesa e il monastero furono demoliti nel 1580.

– località Pizzomerlo.

La contrada di Pizzo merlo era congiunta con quella di Pozzo bianco, e si estendeva all’incirca fra piazza Sforza Cesarini e via dei Cartari. In un documento del 1422 “In domo Thederici in piccomierolo“. Nel 1471 viene definita “pozo merula“. In un documento del 24 dicembre 1474 troviamo “domum turrim appellatam cum puteo et area seu horto positam in regione Parionis et parrocchia S. Stephani de Pisciola ac contrada Pretzemoli“. Giorgio de Croce, nel suo testamento del 9 ottobre 1485 lascia una “casa a piazza Pizzomerlo“. Nelle piante del XVI secolo la stessa piazza dove sboccava via dei Filippini viene chiamata sia Pizzomerlo che Pozzo bianco. La località si diceva anche Rua Catalanain loco qui dicitur pizomerlo sive la rua catalana“.

Rua Catalana.

Questa strada correva presso piazza Sforza Cesarini, già Pizzomerlo, e va probabilmente da identificarsi con l’attuale via Sforza Cesarini che dal Corso Vittorio Emanuele va in Banchi Vecchi. In un documento dell’anno 1500 troviamo “in loco qui dicitur pizomerlo sive la rua catalana“. Il nome derivava dagli spagnoli che abitavano in zona. Viene indicata negli anni 1487 e 1515 anche come “contrada della rua a presso a pocio bianco“.

Gli elementi che possiamo desumere da tutte queste fonti sono i seguenti:

a) presso il palatium Chromatii in Parione c’era un luogo “ubi Iudaei faciunt laudem“;

b) il palatium Chromatii sorgeva presso la chiesa di S. Stefano in Piscinula;

c) la chiesetta di S. Stefano in Piscinula, o de piscibus, o de Pisciola, o alla chiavica di S. Lucia era inserita nell’isolato quadrangolare che affacciava sulla Piazza Sforza Cesarini, sulla via dei Banchi Vecchi quasi di fronte alla chiesa di S. Lucia del Gonfalone.

Dopo questa lunga parte introduttiva, possiamo concludere che tutti questi elementi sono concordanti per collocare la sinagoga dei Calcarenses su di via dei Banchi Vecchi alle spalle di piazza Sforza Cesarini, nel luogo dove sorgeva la chiesetta di S. Stefano, il cui edificio era inserito nell’isolato quadrangolare che affaccia sulla piazza Sforza Cesarini, quasi di fronte alla chiesa di S. Lucia del Gonfalone. Mentre il Palazzo di Cromazio affacciava sulla Piazza Sforza Cesarini a mano sinistra di Corso Vittorio Emanuele, la sinagoga occupava l’isolato quadrangolare di Palazzo Cesarini con affaccio su Via dei Banchi Vecchi.

SINAGOGHE DELL’ESQUILINO

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1777 Rione Monti.

Sinagoga dei SICINENSES presso S. Maria Maggiore

Torniamo sull’argomento della sinagoga dei Sicinenses.

Gli studiosi, a cominciare dal Frey, attribuiscono il nome ad una comunità di Ebrei provenienti da Skina, oggi Medinet es-Sultan, porto dell’Africa del nord, indicato nella Tabula Peutingeriana come “Scina, locus Judaeorum Augusti“, nell’Itinerario Antonino come “Iscina“, e in Tolemeo come “ICKINA“. La sinagoga dei Sicinenses raggruppava gli Ebrei che abitavano sull’Esquilino in località detta Sicininum, nei dintorni dell’area su cui sorgerà la basilica di S. Maria Maggiore. Topografia dell’area compresa fra le zone de Aggere, Sicinino, e in Macello.

– località de agger.

Le Mura Serviane dopo la Porta Quirinalis giravano a sud raggiungendo la Porta Collina, e da qui cominciava l’Agger il tratto più fortificato delle mura. Questo tratto era l’Agger per eccellenza definito “aggere in aprico spatiari“, ed era il luogo più alto di tutta Roma. L’Agger si estendeva fra la Porta Collina e la Porta Esquilina, al centro del quale si apriva anche la Porta Viminalis, ora in piazza dei Cinquecento. La Porta Collina si apriva sull’Alta Semita, corrispondente a via del Quirinale e via XX Settembre, e resti della porta sono stati scoperti al momento della costruzione del Ministero delle Finanze, al di sotto dell’angolo nord dello stesso. La Porta Esquilina corrisponde oggi all’Arco di Gallieno, presso via di Carlo Alberto. Seguendo via di Carlo Alberto di fronte alla facciata di S. Maria Maggiore c’è un frammento delle Mura Serviane, e svoltando a destra nella via dove c’è la chiesa di S. Vito troviamo l’Arco di Gallieno, corrispondente all’antica Porta Esquilina. I resti più importanti dell’Agger sono ora in piazza dei Cinquecento e piazza Manfredo Fanti. Le mura proseguivano verso Largo Leopardi dove erano addossate all’Auditorium di Mecenate. Il clivus Suburanus costituiva l’asse principale della III Regio da est a ovest, si dirigeva alla Porta Esquilina e poi, forse già con il nome di Via Labicana, fino a Porta Maggiore. Da nord a sud due vie seguivano le Mura Serviane, una al di sotto Subagger, e l’altra al di sopra Superagger. L’Agger venne distinto in de Aggere, in sub Aggere, e in super Aggere.

proseuchà de aggere.

Un’iscrizione sepolcrale pagana ricorda che Corfidio di Segni aveva una bottega di frutta nei pressi della proseuchà che sorgeva presso l’aggere

CORFIDIO  SIGNINO 

POMARIO  DE  AGGERE

A  PROSEUCHA

(Frey 531: trovata “via Gabina extra portam”).

– località de aggere.

Ricorre nell’iscrizione di Corfidio di Segni che aveva una bottega di frutta nei pressi della proseuchà che sorgeva presso l’aggere

– località super aggere.

In un documento dell’Anno 1051 si ricorda “in loco qui vocatur Superage non longe a Sancta Maria Maiore“. Nel 1527 viene chiamato Superagius. Corrisponde al piano della Stazione Termini.

– località sub aggere.

Giovenale ricorda “ventoso sub aggere“. La Notitia parla di “campus Viminalis sub aggere“.

campus Viminalis subager.

Viene chiamato campus Viminalis subager, e identificava probabilmente una località posta fuori l’agger e non lontano dalla Porta Viminalis.

– località in Sicinino

Il toponimo in Sicinino, in Sicininum, in Sicinini regione, viene ricordato in numerose fonti:

a) nell’editto di Tarracio Basso;

b) due volte nel Liber Pontificalis, nella vita di Silvestro “in Sicinini regione“, e nella vita di Sisto “domum Claudi in Sicininum“;

c) nel Cod. Vat. 496 basilica Sicinini.

d) in un’iscrizione ritrovata nei pressi di S. Maria Maggiore si ricordano i Cicinenses.

– basilica S. Maria Maggiore o basilica Sicinini.

La basilica di Santa Maria Maggiore fondata secondo la leggenda da Papa Liberio (352-366) ed eretta nel luogo di una miracolosa nevicata, avvenuta il 5 Agosto del 352, nel Liber Pontificalis viene così definita “Hic fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae”. Ma la basilica è nota fin dal IV secolo anche come basilica Sicinini, e S. Girolamo e Rufino la chiamano Sicininum. In un altro documento leggiamo “ubi redditur basilica Sicinino“. La basilica era circondata da quattro monasteri:

a) monastero Ex aiulo, ovvero S. Andrea e Stefano; nel secolo XIV questo monastero convertito in ospedale veniva chiamato in aggere o in superagio, nome che ricordava corrottamente l’antico agger di Servio presso al quale era appunto quell’edificio.

b) monastero in Vespani, ovvero S. Cosma e Damiano, il cui nome si riferiva forse a Vipsano Agrippa;

c) monastero Massa Iuliana, ovvero S. Andrea, era presso la villa di Mecenate;

d) monastero ad duo furna, ovvero S. Lorenzo, Adriano, Prassede e Agnese.

– chiesa di S. Andrea in Massa Iuliana, o Catabarbara Patricia.

Era in origine una basilica profana dedicata a Giunio Basso, che Simplicio (468-483) dedicò a S. Andrea. Gregorio Magno in un’Omelia ricorda “Habita in basilica s. Andreae post praesepe“. Leone III (795-816) restaura il tetto della chiesa di S. Andrea “quae appellatur catabarbara patricia“. Presso questa basilica c’era il monastero detto “Barbarae” e “catabarbara patricia“. Da un documento dell’anno 908 sappiamo che S. Andrea era chiamato anche in Massa Iuliana. Il luogo del monastero e della chiesa fu altre volte detto anche in aurisario.

– Chiesa di SS. Cosma e Damiano di S. Maria Maggiore

Era assai antica.

– località duo Furna, Duas Furnas, Fornora, Tre Forni.

Località in rione Monti, a oriente della Chiesa di S, Prassede. Nella biografia di Leone III (795-816) leggiamo “oratorium S. Agnetis qui ponitur in monasterio qui appellatur Duo Furna“. Nell’Anno 996-999 viene ricordato il monastero “qui appellatur Duas Furnas“. Veniva chiamato anche Fornora e Tre Forni.

– località Massa Iuliana.

Località che corrisponde al capo del Clivus Suburanus e ai pressi di S. Vito e S. Giuliano a sud-ovest di S. Maria Maggiore. Dava il nome anche ad una chiesetta di S. Andrea, abbandonata nel XIII secolo. Da un documento del Regesto Sublacense dell’anno 977 sappiamo di un orto situato nella regione III, nel luogo detto Massa Iuliana confinante con S. Scolastica e con la Via Camellaria. Ricorre nell’editto di Tarracio Basso il nome Camellenses, ed è elencato nello stesso frammento dei Caelimontienses con riferimento ad una località del Celio.

S. Scolastica in Massa Iuliana.

La chiesa di S. Scolastica sorgeva sull’Esquilino presso l’antica diaconia dei santi Vito e Modesto e dell’Arco di S. Vito, e la via forse prendeva il nome dalla cancelleria della basilica liberiana. Da un documento del Regesto Sublacense dell’anno 1031 sappiamo che esisteva dal XI secolo, e dipendeva dal monastero e chiesa di S. Erasmo al Monte Celio.

S. Maria in campo, de campo, de Puteo.

Ai piedi del Viminale vi era una chiesa dedicata in origine a S. Maria che dicevasi in campo, de campo, in puteo, che poi venne dedicata a S. Anna degli Albanesi. Nel catalogo delle chiese di Roma dei tempi di Pio V viene elencata “Nel rione delli Monti una chiesa ruinata detta S. Maria Puteo che era degli Albanesi”. La chiesa di S. Anna e un ospedale dedicato agli Albanesi, o Epiroti, vennero abbandonati nel 1587.

de puteo Probae.

Questa località era fra il Quirinale ed il Viminale. Viene ricordata come “in loco qui dicitur Poczo de prova in opposito Eccl. S. Vitalis“. E ancora “Regione VII in loco qui vocatur Proba iuxta monasterim Agatae super Sobora“. Pomponio Leto descrive “non longe a templo S. Vitalis est puteus qui dicitur puteus dne Probae“. Andrea Fulvio ricorda “de Monte Viminale in valle Quirinali fuit etiam puteus d. Probae quem Proba fecit“. Nel 1396 viene ricordato “hospitali de yspanis ad puteum probae“.

– località in Macello.

Il Macellum Liviae era un complesso commerciale edificato sull’Esquilino da Augusto e dedicato a sua moglie Livia. Su un’iscrizione si ricorda un restauro effettuato tra il 364 e il 378 da Valentiniano I, Valente e Graziano, inoltre, questo macellum, è raffigurato sul frammento 4 della Forma Urbis Severiana. Nel Chronicon di Benedetto da Soratte, all’anno 921 si menziona la “aecclesia Sancti Eusebii iuxta macellum parvum“. Nel Liber Pontificalis la chiesa di S. Maria Maggiore è descritta come “iuxta macellum Libiae“. La chiesa di San Vito era detta in Macello. L’Ordo Benedicti del 1143, descrivendo la processione annota “intrans sub arcum ubi dicitur macellum Livianum“. Rimanenze corrispondenti alle indicazioni letterarie succitate sono state identificate appena fuori dalla Porta Esquilina a nord della strada: questi resti potrebbero ben corrispondere a quelli del macellum Liviae. Si è rinvenuto, infatti, un cortile aperto, che misura 80 per 25 metri, disposto parallelamente alle Mura Serviane, circondato da un portico con botteghe. Sembra che, dal principio del III secolo d.C., la parte meridionale di quest’area fosse invasa dalla costruzione di edifici privati.

Macellenses.

In un’iscrizione sepolcrale viene ricordato il nome di coloro che abitavano vicino al macellum Liviae.

– chiesa di SS. Vito e Modesto in macello.

Questa antichissima chiesa che forse risale al IV secolo, sorgeva sull’Esquilino e dal secolo IX fu detta in macello. Poco lontano, tra via Carlo Alberto e Piazza Vittorio, c’è la chiesa dei SS. Vito e Modesto, addossata a un antico arco romano, l’Arco di Gallieno. L’arco di Gallieno sorge sul luogo della Porta Esquilina. Nelle antiche mappe di Roma nella zona dell’Esquilino tra Santa Maria Maggiore e le Mura Aureliane appaiono sempre, oltre ai Trofei di Mario, e al Tempio di Minerva Medica, alcuni edifici: la chiesa di San Vito e Modesto con addossato l’Arco di Gallieno, e la chiesa di Sant’Eusebio.

– chiesa di Sant’Eusebio.

La chiesa di Sant’Eusebio secondo la tradizione fu costruita nel IV secolo sull’area della casa del presbitero Eusebio, martirizzato durante la persecuzione dell’imperatore Costanzo. Nel Catalogo Gelasiano del 494 viene ricordato “Valentinus archipresbiter in titulo s. Eusebii in Esquiliis“. Nella catacomba di Marcellino e Pietro sulla Via Labicana è stata ritrovata uniscrizione del IV secolo di Olympi lectoris de dominico Eusebii, che ci fa sapere che la domus Eusebii venne trasformata in dominicum. Nell’anno 1699, il duca di Urbino fece fare non lontano dalla chiesa, e precisamente avanti i Trofei di Mario, un gran cavo ove trovò “una piccola cappella con imagine che ora non c’è più“. La chiesa di Sant’Eusebio, che oggi si trova nell’angolo nord-occidentale di Piazza Vittorio, fu rinnovata più volte.

Nell’area dove nel IV secolo sorgerà la basilica di S. Maria Maggiore esisteva una località chiamata Sicinino, dove un gruppo di ebrei costruì la propria sinagoga che prese il nome dalla toponomastica del luogo. Crediamo che per la vicinanza tra la località de aggere dove sorgeva una sinagoga, e la località Sicinino dove esisteva una sinagoga è possibile che la proseuchà de aggere sia da identificare con la sinagoga dei Sicinenses. Da tutto quanto sopra esposto sappiamo che:

a) l’iscrizione del pomario Corfidio viene datata al I-II secolo d. C. e ricorda una proseuchà;

b) la proseuchà ricordata nell’iscrizione del I-II secolo d. C. corrisponde alla sinagoga dei Sicinenses che è del I-II secolo;

c) ne consegue che la località Sicinino che dà il nome alla sinagoga ricordata nell’iscrizione del I-II secolo d. C., è antecedente e deriva il suo nome da un elemento ancora ignoto.

 

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Giuseppe Vasi, Piazza alli Monti (1752).

Sinagoga dei Suburenses

Torniamo sull’argomento della sinagoga dei Suburenses. La Suburra era il nome dato alla vallata tra la parte meridionale finale del Viminale e la parte occidentale finale dell’Esquilino, che era collegata con il Foro mediante l’Argiletum, e continuava ad oriente fra l’Oppio e il Cispio attraverso il Clivus Suburanus, fino alla Porta Esquilina. Un’altra depressione si estendeva dalla Suburra verso settentrione fra il Viminale e il Quirinale, e a nord-est tra il Cispio e il Viminale dove correva il Vicus Patricius. La valle settentrionale della Suburra era attraversata nel tratto occidentale dall’Argiletum che poi si suddivideva nel Vicus Patricius a sinistra (Via Urbana), e il Clivus Suburanus a destra (via in Selci). Il Vicus Patricius segnava il confine tra la Regio IV e la Regio V e proseguiva fino alla Porta Viminalis, mentre il Clivus Suburanus terminava alla Porta Esquilina. A sud la via antica (oggi Via Labicana) costituiva l’asse est-ovest principale della Regio III. Da nord a sud due vie seguivano le Mura Serviane al di sopra e al di sotto dell’Agger che prendevano il nome di Superagger e di Subagger. Al di fuori delle Mura Serviane correva la Via Merulana antica, che iniziava all’angolo settentrionale di piazza Vittorio Emanuele per arrivare, a sud, in Laterano all’altezza dell’Ospedale di San Giovanni. Al di fuori della Porta Esquilina, per secoli, si era esteso un enorme cimitero, la Necropoli Esquilina.

La Suburra veniva distinta con nomi diversi:

  1. a) primae fauces Suburra;
  2. b) in capite Suburra;
  3. c) Suburra maior, ad Nymphas;
  4. d) Suburra minor.

– località Suburra.

Il nome continuò ad essere usato anche in età medievale, dando il nome a numerose chiese situate tra la Torre dei Conti e S. Pietro in Vincoli. In un documento dell’anno 1451 “quae domus … positae sunt in contrada Subure vel turris de Comitibus“. I Martinelli scrive “Suburra, nella quale si lavorano l’achi e concorrono l’Aquilani, dalla Madonna de Monti sino all’Arco di S. Vito“.

– località in capite Suburae, in caput Suburae.

La chiesa di S. Lucia veniva dfinita in caput Suburae, in capite Suburrae, o in Silice, o in Orphea. La chiesa di S. Agata veniva definita in capite Suburrae. Oggi esistono la via di S. Agata dei Goti che da Via Panisperna arriva a Via Baccina, e la Via in Selci che cominicia dalla odierna Piazza della Suburra: evidentemente era questa la zona chiamata in capite Suburra.

– località Suburra maior, Sebura maiore ad Nymphas, ad Nymphas, super nymphis.

Un’iscrizione ricorda Sebura maiore ad Nymphas. La località ad Nymphas viene ricordata in due iscrizioni, la prima “Sebura maiore ad Nymphas“, e l’altra che ricorda una donna “quae habitavit ad nymfas“. Con riferimento al Lucus Mefitis che sorgeva “eam partem Esquiliarum, quae iacet ad vicum versus in qua regione est aedes Mefitis“. Un’iscrizione dei tempi di Settimio Severo ricorda “hortulus super nymphis qui locus appellatur Memphi“.

– località Suburra minor.

Suburenses.

L’editto di Tarracio Basso elenca i Suburenses ponendoli di seguito ai Clivumpullenses e ai Tellurenses. Il Clivus Pullius attraversava la Suburra puntando a sud attraverso l’Oppio e il Fagutale, passando nel luogo ora occupato dalla chiesa di S. Pietro in Vincoli. Nel secolo XVI esisteva la chiesa di S. Giovanni in Carapullo, o in clivo Plumbeo. L’aedes Tellus sorgeva sull’Esquilino, alle Carinae, forse fra le attuali Via del Colosseo e Via dei Serpenti. Nel medio evo esisteva il Clivo Plumbeo, corruzione di Clivus Pullius, detto anche Carapullo, Carapallo. Era una località della Suburra in rione Monti, sotto S. Pietro in Vincoli e diede il nome alla chiesa di S. Giovanni in Clivo Plumbeo o in Carapullo.

Molte chiese presero il nome da Suburra e sono:

– chiesa di S. Agata in capite Suburrae, de Suburra.

Chiesa antichissima che nel Liber Pontificalis viene chiamata in capite suburrae. L’Anonimo di Torino pone la chiesa di S. Agata in capite Suburrae fra le chiese della seconda partita fra la chiesa dei SS. Pietro e Marcellino e la chiesa di S. Salvatore  de suburra. Nell’VIII secolo c’era un monastero. Oggi è S. Agata dei Goti.

– chiesa di S. Andrea de Suburra, in Torre Secura, a Torre scura, ad Turrim, de Vincula.

La chiesa viene chiamata de Suburra e anche de Eudoxia, e corrisponde probabilmente alla chiesa che nel catalogo di Pio V è situata nel rione Monti ed è chiamata S. Andrea nel Vicolo. Il Martinelli crede che fosse chiamata anche S. Andrea de Monte e che nell’anno 1564 fu unita a S. Salvatore in Suburra. Il Lonigo crede che la chiesa era chiamata S. Andrea in Torre Secura, e si trovava dirimpetto alla chiesa di S. Maria de Monti. Dalla vicinanza della torre prese anche il nome di S. Andrea ad Turrim. Nell’elenco di Pio V leggiamo “Una chiesa in casa di Madonna Cornelia a Torre scura“. La chiesa venne distrutta nel 1600.

– chiesa di S. Barbara in Suburra.

Nel Liber Pontificalis alla vita di Stefano IV, anno 816 si ricorda “in oratorio sanctae Barbarae martyris in Suburra …“. Non si conosce la posizione dell’oratorio, distrutto da molti secoli.

– chiesa di S. Bartolomeo in Suburra.

La chiesa era annessa ad un antico monastero. Il Signorili la pone fra quelle della terza partita presso S. Andrea de vincula.

– chiesa di SS. Marcellino e Pietro de Suburra.

La chiesa è la stessa che viene chiamata SS. Marcellino e Pietro in Laterano. La chiesa fu chiamata anche de Secura. Scrive il Terribilini “che si vedono attaccate a questa chiesa ruine come di palazzo, e 32 palmi sotterra si è trovata una strada antica“.

– chiesa di Salvatore ai Monti.

La chiesetta esiste ancora, anche se ridotta ad oratorio, in la via Madonna de Monti non lontano dalla Torre dei Conti detta nei secoli Turris secura, e Torre scura.

– chiesa di S. Scolastica.

Da un documento dell’anno 1031 sappiamo che questa chiesa esisteva sull’Esquilino già nel secolo XI ed era posta presso l’antica diaconia dei SS. Vito e Modesto all’Arco di Gallieno, e che dipendeva dalla chiesa e dal monastero di S. Erasmo in monte Celio.

– chiesa di S. Sergio e Bacco de Suburra.

La chiesa è tuttora esistente. Nel catalogo di Torino è detta de Suburra. Dal 1718 viene detta anche chiesa della Madonna del Pascolo da un’immagine sacra.

– località Torre della Suburra, Torre Secura.

Detta anche de Secura. La chiesa di S. Salvatore è detta de Suburra, e de Secura. Il Fulvio, nel 1527, scrive “extabat in media via turris cognomento Secura pro Subura, quae hodie a magistris viarum diruta est viae ampliandae causa“. L’Adinolfi la colloca fra la Madonna dei Monti e S. Salvatore de Subura. In un documento dell’anno 1531 “in regione Montium in loco dicto Torresicura“.

Lacus Orphei, in Orphea, iuxta Orfeam.

Una fontana con una statua di Orfeo che sorgeva sull’Esquilino nella Regio V, da collocare forse subito fuori della Porta Esquilina. Si ricorda una “domum in regione orfea intra urbem“. L’editto di Tarracio Basso ricorda i “tabernarii Orfienses“.

– località in Orphea, in Orthea, iuxta Orfeam.

Il lacus Orphei era situato fra l’Arco di Gallieno e l’odierna piazza Vittorio Emanuele. La chiesa di S. Lucia prese anche il nome di in Orphea, e in Orthea, nome derivato dal Lacus Orphei. La chiesa di SS. Silvestro e Martino era detta anche in Orfea, e iuxta Orfeam.

– chiesa di S. Lucia in Orphea, in Orthea, o in caput Suburae, in capite Suburrae, o in Silice.

L’antica diaconia è oggi conosciuta come S. Lucia in Selci. Anticamente era conosciuta anche come de siricata. Nel secolo XV alcuni libri catastali riportano “unum orticellum prope ecclesiam sancte Luciae de siricata in montibus de quo nihil recepit“. La chiesa prese anche il nome di in Orphea, e in Orthea, nome derivato dal Lacus Orphei.

– chiesa di S. Biagio in Orphea.

Antichissima chiesetta che sorgeva non lontano da S. Lucia in Selci, fu detta anche juxta palatium Traiani, ora non esiste più.

– chiesa di S. Martino in Orfea.

Era detta anche in Orfea, e iuxta Orfeam.

La sinagoga dei Suburenses sorgeva in un luogo della vastissima Suburra che al momento non riusciamo a precisare.

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1777 Rione Trastevere.

 

SINAGOGA IN SEPTIMIANO IN TRASTEVERE

Iscrizioni provenienti dal Tevere

Gli scavi del Tevere hanno restituito molto materiale archeologico, comprese le iscrizioni seguenti:

FLABIA . KAI . MARYLLEINA (Frey 288: Notizie Scavi 1904, Gatti “frammento di sarcofago trovato tra Ponte Sisto e ponte Garibaldi“). L’iscrizione funeraria è sicuramente scivolata giù dalla collina del Monteverde, e va assegnata alla catacomba di Via Portuense.

IACON . DIC . ARXON (Frey 289: “trovata ai piedi del Gianicolo, in riva al Tevere, presso la Porta Settimiana“. Ms. De Rossi “piccolo cubo di marmo cavato dal Tevere 12 nov. 1880“, Museo Nazionale Romano).

L’iscrizione non è funeraria ma si riferisce a una elargizione che Iason, due volte arconte, aveva fatto in un edificio di culto che sorgeva in zona. A Corinto, la sinagoga degli Ebrei aveva il nome inciso sull’architrave sottostante la porta d’ingresso all’edificio.

I toponimi che ci aiutano a localizzare questa proseuchà dove Iason fu due volte arconte, sono numerosi:

Porta Settimiana.

La porta sorgeva a sud di Palazzo Corsini, sul lato destro del Tevere. La porta deriva il nome da Settimio Severo, fu ricostruita nel 1498 da Alessandro VI. Il nome venne corrotto in Settignano, Septignani, sotto Giano.

 

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Porta Settimiana.

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Porta Settimiana, G.M. Cassini, acquaforte, 1779

– chiesa di S. Giacomo in Settignano

– località in Septignano, in Septimiano, in Settignano, de Septimiano.

Località attorno alla Porta e alla via Septimiana. Ricostruita da Settimio Severo, rifatta da Alessandro VI rimase nell’interno della città quando Urbano VIII vi incluse il Gianicolo da Porta Portese a Porta Cavalleggeri. Alcune chiese presero il nome dal luogo, come S. Giacomo, S. Lucia e S. Leonardo. In un documento dell’anno 1475 viene ricordata “vineam magnam … positam in Septignano iuxta ecclesiam S. Leonardi“.

– chiesa di S. Leonardo in Settignano.

La chiesa era situata presso la Porta Settimiana nel Trastevere, e sorgeva quasi dirimpetto a Palazzo Salviati alla Lungara. Detta anche de ponte grandinato.

– chiesa di S. Giacomo in Settignano.

La chiesa di S. Jacobo de Settignano corrisponde a S. Giacomo alla Lungara. Altra chiesa romana pressochè ignota ai più. Sorge a metà circa di via della Lungara, e prende il nome dalla non lontana Porta Settimiana, eretta da Settimio Severo e inglobata da Aureliano nel recinto transtiberino delle mura cittadine, ricostruita, nell’attuale aspetto, da papa Alessandro VI. La chiesa è di orgine assai antica, fatta risalire al tempo di Leone IV (847-855).

– chiesa di chiesa di S. Croce delle Scalette.

Costruita nel 1619, sorge quasi di fronte a S. Giacomo, su via della Lungara, è detta anche del Buon Pastore.

– chiesa di S. Giovanni de Porta.

Viene ricordata come “Ecclesia sancte Joannis de Porta“.

– chiesa di S. Silvestro iuxta Porta Septimiana.

La chiesa nel XVI secolo veniva chiamata S. Silvestro della Malva ovvero ad portam. Sembra che venne distrutta per costruirvi nel 1445 la chiesa di S. Dorotea.

Possiamo ragionevolmente ipotizzare che in località in Septimiano, non lontano dalla Porta Settimiana, sorgeva una proseuchà, e tenuto conto che l’iscrizione fu “trovata ai piedi del Gianicolo, in riva al Tevere, presso la Porta Settimiana“, e non lontano dal luogo di ritrovamento cioè proprio ai piedi del Gianicolo e non lontano dalla Porta Settimiana … sopravvive una stradina chiamata Vicolo del Cedro!

Anche se bisogna essere cauti nel formulare questa ipotesi perché qualcuno potrebbe dire che invece del frutto del cedro è frutto della fantasia! Molte volte, però, la fantasia supera la realtà.

downloadMa questa forse è solo suggestione! Si, ma suggestione bella e profumata…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografie

27 gennaio – Giornata della Memoria

Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Il testo dell’articolo 1 della legge italiana definisce così le finalità del Giorno della Memoria:

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.»

(da:  http://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_della_Memoria)

shoah
Dal sito http://www.valberici.eu/archives/6399

A tal proposito abbiamo preparato una breve bibliografia tematica con romanzi e saggi sull’argomento e allestito un piccolo spazio presso lo Scaffale delle novità. Ovviamente non è affatto esaustiva e per questo rimandiamo all’ottima selezione curata dal sito WUZ cultura & spettacolo.

Come ogni anno il Comune di San Benedetto celebrerà tale giornata anticipando la commemorazione a sabato 26 gennaio presso l’auditorium comunale “G. Tebaldini”, dove, dalle 10, si svilupperà l’iniziativa “I Giusti e la memoria della Shoah” organizzata in collaborazione con l’Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche e dell’Età Contemporanea (ISML) di Ascoli Piceno e la sezione provinciale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

“Lo constato ogni volta in me stessa: quando si è toccato il limite della disperazione e si crede di non poter più andare avanti, ecco la bilancia tracolla dall’altra parte, e si può ridere e prender la vita come viene. Dopo un lungo periodo di forte depressione ci si può d’un tratto sollevare tanto in alto su questa miseria terrena da sentirsi più liberi e leggeri che mai. Sto di nuovo molto bene ma per qualche giorno è stata una vera disperazione. L’equilibrio si ristabilisce ogni volta. Cari miei, che strano mondo.

Qui è un vero manicomio, di cui ci toccherà vergognarci per tre secoli.”

(da 29. A Han Wegerif e altri, Westerbork, 5 luglio [1943], Lettere 1942-1943 di Etty Hillesum)

Bibliografie

27 gennaio – Giornata della memoria

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Queste parole sono tratte da Se questo è un uomo di Primo Levi, il resoconto dei dieci mesi passati dall’autore nel campo della morte tedesco, la sua peculiare opera sull’Olocausto. Cos’è un uomo ad Auschwitz? Come agisce un’atrocità come quella di un campo di sterminio sulla coscienza e sul concetto stesso di umanità? Levi crea un’opera su un’eccezionale condizione umana, fatta di migliaia di individui circondati dal filo spinato in cui ognuno è “ferocemente solo”.

Proprio per non dimenticare è stato istituito Il Giorno della Memoria, la ricorrenza stabilita dalla legge n. 211 del 20 luglio 2000 con cui il Parlamento italiano ha aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Il testo dell’articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

 È importante soprattutto che le nuove generazioni conoscano i tragici eventi legati alle persecuzioni, comprendano la gravità di simili fatti affinché non si ripetano in futuro.

A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio (da Il diario di Anna Frank).

Abbiamo pensato ad alcune proposte di lettura sull’argomento rivolte ai più giovani, dagli 11 anni in su